Il pessimismo della verità

Il pessimismo della verita

Il filosofo Manlio Sgalambro parla del suo nuovo libro La conoscenza del peggio

C’è una formula che, scrivendo o parlando, Manlio Sgalambro ripete con frequenza intenzionale: è l’«onore del filosofo». A prima vista, una maligna moralità s’insinua come un diavoletto nel suo pensare, nel suo essere, che predica da sempre l’indifferenza come «la più alta forma di etica possibile». Ma, a guardar bene, Sgalambro non adopera l’espressione in senso propriamente morale: essa coincide, in realtà, con la dignitas del filosofare che non si arrende al pensiero e, perciò stesso, non si fa «esegesi, ermeneutica, mormorio e, per finire, storia della filosofia».
La dignità del filosofo – il suo onore, appunto, la sua stessa onorabilità – consiste nel dire la verità: anche se la verità «va contro di lui». Non ci si può sempre e solo porre domande, bisogna pur dare risposte: «Finché si dubita, finché l’esercizio del dubbio si compiace di sé ed è fine a se stesso, si fa un esercizio che non è filosofico. Vengono di qui tutti i debolismi». Concetto, questo, che a molti accademici – analitici, continentali e insulari – non lo rendono simpatico. Disposizione d’animo, del resto, amorevolmente ricambiata: «A Catania, mi dicono, non sono più di sessanta gli studenti iscritti al corso di laurea in filosofia, a petto del migliaio di scienze della comunicazione, della formazione, o che so io… Bene, ciò dimostra che non c’è filosofia nell’istituzione. La filosofia nasce dall’urto delle cose».
Ora, l’urto può essere così forte, potente, devastante da indurre l’antico lettore di Schopenhauer («acquistai Il Mondo a una bancarella, a sedici anni, e da allora non ho più smesso di girarci attorno») a interrogarsi sulle buone ragioni del pessimismo: «Non il pessimismo come parte consustanziale al dolore, alla carne, come Weltschmerz, non il pessimismo umorale, viscerale di Schopenhauer». Del pessimismo, invece, come metodo di conoscenza del mondo: il pessimismo della verità che «non ha viscere».
Prosieguo ideale del De mundo pessimo, arriva in libreria ai primi d’aprile l’ultima fatica di questo pessimista a occhi asciutti: La conoscenza del peggio (Adelphi) riprende, fin dal titolo, un’affermazione di programma del Fedone alla quale, però, Platone non dette alcun seguito. «Impegnato nella gigantomachia sull’essere, Platone si occupò del buono, anzi dell’ottimo, ma definì il buono come l’“alcunché” in grado di far sì che il mondo sia. Se non che, sta in questo “alcunché” proprio ciò che Platone non ha indagato: il limite del mondo stesso. Quel limite, per essere esatti, fa sì che il mondo sia com’è».
In ventisette capitoli e una nota, tutti vergati nello stile aforistico che i suoi lettori affezionati riconosceranno dalle prime battute, anche questo libro sferra un attacco senza indulgenze alla metafisica in quanto «filosofia adulatoria». Allo stesso modo, il metodo pessimistico («il metodo, insisto, non il sentimento») contempla fra i suoi diritti-doveri quello di sottrarre il mondo alla tutela nihilista, giacché perfino il pessimismo del nihilista «è una forma di umanesimo, nel momento in cui situa ancora il Signor Uomo al centro del discorso». Invece, per il Maestro, la verità è: il mondo ha certo un senso, ma il senso non è per l’uomo.
Insomma, Sgalambro non perde il vizio di affrontare il pensiero di petto, a faccia a faccia, anziché contentarsi d’interpretarlo, o di perimetrarlo con delucidazioni tanto più seducenti, quanto più opache: «Del resto, è questa la filosofia nella quale credo e per la quale ho speso una vita intera». Se qualcuno gli fa osservare che tale habitus risente ancora d’un certo titanismo nietzscheano: «Nessuno può far finta che Nietzsche non ci sia stato – obbietta – mi rifiuto di credere, però, che, dopo Nietzsche, tutto sia finito o, ciò che è lo stesso, che tutto sia diventato ermeneutica».
Agli antipodi di Cacciari (di cui è amico di vecchia data), del Cacciari che nella «cosa ultima» cerca e, forse, trova l’antico sentiero ininterrotto che porta al mundus optimus, Sgalambro spazza via ogni illusione trascendente: «Ma davanti a tante affazzonature correnti, c’è che Cacciari filosofa. C’è che percorre il retto cammino dell’onor filosofico. Pertanto, si può perdonargli il suo ottimismo speculativo».


Giuseppe Testa, Il pessimismo della verità in “La Sicilia”, 28 marzo 2007

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