Recensione a “Fun club”

In tempi di crisi profonda dell’industria discografica sentivamo il bisogno di un album di Manlio Sgalambro? A 77 anni, dopo una recente carriera concentrata di “vana et futilia” come paroliere per Franco Battiato, il filosofo-poeta di Lentini sembrerebbe buttarsi a bomba nel mondo della musica con questo CD di cover. In realtà, come il titolo suggerisce, si tratta di un gioco borderline tra l’imbarazzante e la parodia.
È probabilmente superfluo dire che il suo amico-discepolo Franco Battiato si nasconde dietro questo progetto che colleziona su un tappeto di raffinati arrangiamenti una serie di schizofreniche cover che spaziano da D’Anzi e De Sica a Manu Chao, passando per Tom Jones, Gorni Kramer e Charles Trenet.
Bastano cinque secondi di ascolto per capire che il disco è più che altro una provocazione ben confezionata, assecondata da musicisti di prim’ordine e dall’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo. Impensabile che qualcuno possa aver solo pensato che la voce sgraziata e sfiatata di Sgalambro potesse davvero interpretare qualsivoglia canzone.
Me gustas tú chiarisce subito che il tutto è una semplice vaccata. Uno sfregio all’industria discografica.
Le cose continuano su questi toni ed anche peggiorano quando il nostro gioca con l’inglese sfoderando una pronuncia degna di Aldo Biscardi regalandoci la peggiore interpretazione di sempre di We have all the time in the world, ma anche Moon river e As time goes by non sono certo da meno.
Stesso discorso vale ovviamente per il francese ed ecco quindi che La vie en rose e La mer diventano poco più di rantoli inintelligibili.
Pur accantonando questi brani e concentrandosi sui classici italiani le cose non migliorano di molto a causa di un accento siculo troppo marcato e soprattutto per via di una voce davvero troppo legnosa che rende piatte le melodie sinuose di brani come Ciao Pussycat, Camminando sotto la pioggia o Cheek to cheek.
Ad onor di cronaca questo baraccone snob-intellettuale sembra quasi funzionare: Non dimenticar le mie parole e Parlami d’amore Mariù sono indubbiamente dotate di un certo fascino, ma siamo sicuri che sia per il valore intrinseco o per il nulla di cui sono circondate? Sicuramente non bastano a giustificare l’acquisto di questo album che alla fine dei conti suona come una provocazione fine a se stessa.


Vittorio Papa, Recensione a “Fun club” in “Orrore a 33 Giri”, 4 giugno 2006 – Collegamento esterno

Precedente Lettera a un giovane poeta Successivo Manlio Sgalambro. Il consolatore