E Sgalambro cambia filosofia e si mette a cantare

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Senza vergogna

«Ci sono uomini», diceva Friedrich Schlegel, «per i quali il furore della noia è la prima sollecitazione alla filosofia». Quando non si annoiano più, verrebbe da aggiungere, invece di filosofare cantano. Qualcosa del genere è accaduto a Manlio Sgalambro (Lentini, 1924, nella foto), meglio conosciuto come «il paroliere di Battiato». La solitudine, la noia, l’avversità alla vita sociale, una furia a lungo repressa hanno fatto di lui uno dei pensatori più originali ed eversivi della scena culturale italiana. Da La morte del sole a Trattato dell’empietà a Dialogo teologico (tutti pubblicati da Adelphi cui, da semisconosciuto, aveva inviato un manoscritto) si sente nei suoi libri il pathos di un pensiero solitario, in un mondo che la filosofia moderna ha svuotato di senso e la scienza fa progredire verso la catastrofe. Adesso Sgalambro, cui si devono fulgide espressioni come «I pensatori odierni rimarranno in virtù delle loro sciocchezze» o «La mia indifferenza per l’altro è il maggior sforzo che io possa fare per lui» o «Chi vuol salvare questa civiltà deve dapprima diventare stupido, e poi se ne parla», ebbene Sgalambro ha appena finito di incidere un disco in cui debutta come cantante di Me gustas tú, La vie en rose, Moon river e altre evergreen. I fan di Franco Battiato sono in agitazione perché considerano il Professore una vera iattura sia per le discutibili interpretazioni sia per il tempo sottratto, nei concerti, al loro grande idolo. «Canta che ti passa»: è l’ultima offerta di Manlio Sgalambro alla verità, alla lotta «contro il miglioramento del mondo».


Aldo Grasso, E Sgalambro cambia filosofia e si mette a cantare in “Sette”, ottobre 2001

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