In nome della “pulizia” si fanno anche i golpe

Liberal

Sulla distorsione filosofica del concetto di giustizia

I fanatici di mani pulite fanno credere agli italiani che si possa estirpare il ‘male’ una volta per tutte. E questo ha prodotto nell’opinione pubblica la sostituzione dell’idea di giustizia con la voglia di fare piazza pulita. Una tentazione che domani potrebbe essere pericolosa
I giudici hanno guardato la corruzione non come dei moralisti ma come dei tecnici. Per questo la hanno svelata

Una politica, oggi vicariata dai giudici, domani potrebbe esserlo dai generali. Se tutto a un tratto diventassero visibili il disordine, la cecità costituzionale dei politici, l’intrigo e l’impudenza, e nello stesso tempo l’esigenza di ordine, fedeltà alla patria, la necessità di un golpe penetrerebbe nella pubblica coscienza come è oggi penetrata quella espressa dall’idea di ‘pulizia’. Infatti è questa idea e non quella di ‘giustizia’ che sta operando. Però qui discutiamo, io credo, non dell’esistenza delle corruzione, della corruzione di fatto, ma piuttosto di come in certi momenti – in particolare in un certo momento – diventi visibile e tematica. Qualcuno, a un certo momento, ha guardato la corruzione e l’ha resa visibile. Stiamo parlando, cioè, della sua consapevolezza. Non della corruzione in sé, ma della coscienza della corruzione. Se potessero, i politici sarebbero propensi a parlare come quel governatore di uno Stato del Brasile che negli anni Cinquanta ammise davanti ai suoi elettori di essere corrotto e poi li invitò tutti a considerare il fatto che governava lo Stato con le più belle strade, le linee ferroviarie più efficienti, gli edifici architettonicamente più belli di tutto il Brasile. Ne avrebbero tutto il diritto. (A proposito, quel governatore fu rieletto).
A prima vista qui invece abbiamo avuto una corruzione sterile e la sterilità è già colpevole. Tuttavia sappiamo, o sospettiamo, o deduciamo che la corruzione in Italia è servita. I politici ci hanno per lo più impedito, per così dire, di vedere l’uso che si è fatto della corruzione. Anzi la sua necessaria finalità. Come si può dimenticare che Tallien fu un ladro? Fouché altrettanto? E che lo fu buona parte del Direttorio? Non ci chiederemo nemmeno se senza la ‘corruzione’ la Rivoluzione francese avrebbe potuto sostenersi. Ma rileviamo che nessun politico ha avuto la lucidità di un Saint Just che dice: «Solo un nemico della Repubblica può accusare i suoi colleghi di dissipazioni, come se tutto non appartenesse di diritto ai patrioti». La classe politica in Italia si era impadronita di quasi tutto (le ‘Partecipazioni statali’). Ma diciamolo chiaro con Saint Just: come se non le appartenesse di diritto!

Vi è una finalità della corruzione: tanta e non più di quella che volta per volta lo storico descrive. (Sappiamo tutti che per costruire l’impero britannico fu necessaria tanta e non più corruzione dí quanta ne fu impiegata. Mi pare che Braudel, se non sbaglio, sostenesse che nello Stato medievale la corruzione è fatto episodico, nello Stato moderno essa è elevata a sistema). Questo ci ha lasciato alle prese con una corruzione spiegabile solo in termini di moralità privata. E cioè, in realtà, inspiegabile. Dice Kierkegaard che il peccato venne al mondo con il Cristianesimo. In Italia la corruzione è venuta al mondo a opera delle Procure. I giudici, cioè, hanno disoccultato la corruzione, l’hanno svelata. Perché l’hanno guardata non con gli occhi del moralista che demonizza e imputa sterilmente, ma con quelli del tecnico che ragiona, confronta o spiega. In tal modo l’hanno, enfatizzandola, ‘fatta esistere’. A un tratto, ripeto, i giudici l’hanno ‘guardata’, da quel momento la corruzione è esistita. Questo è il punto più interessante, anzi il più preoccupante dell’intera faccenda. Bisognerebbe cominciare a studiare seriamente (ma qualcuno lo starà già facendo) come è avvenuto questo fatto che i giudici si siano messi a guardare la corruzione – che per suo conto esisteva di già privatamente – e l’hanno fatta esistere pubblicamente. Essi hanno preso un elemento ‘eterno’ della res publica e lo hanno visto (e fatto vedere) come contingente ed eliminabile. Questo a me sembra un buon lavoro per uno storico serio. La stolta pazzia che anima l’idea di pulizia è che il ‘male’ sia estirpabile una volta per tutte. L’idea di giustizia non l’ha mai minimamente pensato.

Credo che la pulizia giudiziaria sia il più recente cascame di un antico sogno. Il sogno della società migliore, più giusta, più uguale, appena appena finito di sognare. Ma non si sogna impunemente. Di quel sogno è rimasto qualcosa. Magari uno o dieci o cento giudici che pensano: ‘Fiat iustitia, pereat mundus’. ‘Ho il dovere di fare il mio dovere’, ciascuno di essi dice. Allora, torno a chiedere: e se anziché di giudici si trattasse di generali? Che vuole dire per un generale l’esigenza di fare bene il proprio dovere? Quando uno, dieci, cento generali sentono quest’esigenza il golpe è alle porte.
Negli ultimi anni di Stalin una classe dirigente vecchia e malandata, compreso il suo leader, aveva oggettivamente bisogno di medici e di tutto l’apparato sanitario. Si parlò allora di ‘complotto dei medici’. La necessità ‘oggettiva’ di cure aveva messo tutta la classe dirigente nelle mani dei medici. Questo il complotto. Si dirà che qui facciamo lo stesso ragionamento. Il fatto che i medici tengono nelle loro mani la salute di Stalin e i suoi compagni o l’altro che i giudici tengano nelle loro mani la libertà degli italiani apparterrebbe allo stesso tipo di logica e allo stesso tipo di fallacia. In realtà, il senso dell’oggettività fatale o imperscrutabile che sia, oppure perfettamente comprensibile e dispiegata, è venuto meno alle menti persino più organizzate.

Le cose vanno invece nel modo come poi le abbiamo narrate. È vero: c’è un complotto ‘oggettivo’ dei giudici. Oggettivamente i giudici hanno in mano la nostra libertà. S’intende non in nome della giustizia, ma della ‘pulizia’. Per ora dunque abbiamo solo un ‘golpe’ giudiziario. Ma forse sarà bene chiarire ulteriormente il nostro ragionamento. Una sentenza ‘giusta’ è quella in cui si sanziona un reato in nome del progresso sostanziale che la società nel suo intero farà in seguito a essa. La ‘pulizia’ invece non guarda al progresso della società, non guarda al suo sviluppo, in altre parole guarda solamente se stessa. Può avvenire così che una ‘tangente’, data per accaparrarsi un appalto, segni un incremento economico di quella zona, maggiore occupazione, ecc., ma tutto ciò per l’idea di pulizia non ha alcun significato. L’idea di pulizia è, per così dire, ‘bosniaca’. Essa guarda i ‘soggetti’ e l’oggettività le sfugge per definizione. Forse bisogna tornare a riflettere sull’idea ‘classica’ di male. In essa era radicata l’eternità e nello stesso tempo il compito di lottarlo. Ma si lottava qualcosa che sarebbe in ogni caso ricomparsa. E la malinconia per l’eterna vanità entrava nell’idea di giustizia. Il volto del giudice, allora, era triste.


Manlio Sgalambro, In nome della “pulizia” si fanno anche i golpe in “Liberal”, n. 23, febbraio 1997, pp. 31-32

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