Le poesie “impoetiche” di Manlio Sgalambro

Intanto la carta. Vera, pregiata, dall’antico tatto. È fatto così il libro di poesie di Manlio Sgalambro, Nell’anno della pecora di ferro, appena edito dalla siciliana Il Girasole Edizioni di Angelo Scandurra. Un libro d’arte per forma e contenuto, essendo le liriche del filosofo di Lentini di una potenza assoluta, a volte devastante a volte persino tenera, ma sempre autorevole. Nato nel 1924 a Lentini, assurto a popolarità immensa grazie alla collaborazione con il conterraneo Franco Battiato, Sgalambro dispiega in 21 poesie tutto il suo mondo di ricordi e di riflessioni, mai banali e con acuti indimenticabili (“confesso, ho adorato, ho fornicato nel modo peggiore, cioè con amore”). E se “l’anno della pecora di ferro” corrisponde all’imbararimento e del declino, ciò non riguarda certo (malgrado le ironiche avvertenze contrarie) queste poesia di rara bellezza. Qua e là si ritrovano lacerti che sono già stati cantati da Battiato (Strani giorni, L’ombrello e la macchina da cucire, La preda). Onore a Scandurra, che porge al lettore un vero e proprio gioiello di poesia contemporanea, col garbo antico di un editore che, già con il precedente Quaternario, assomiglia al suo autore: nobile, austero, illuminato.


Antonio Mocciola, Le poesie “impoetiche” di Manlio Sgalambro in “il Brigante”, 28 luglio 2011 – Collegamento esterno

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