Vanessa Romani in artspecialday.com
(sito offline), 6 marzo 2018
Manlio Sgalambro è stato un filosofo e scrittore nato a Lentini il 9 dicembre del 1924. Ma non fu solo questo: ebbe anche ottimi rapporti con la musica. Collaborò, infatti, con il famoso cantautore italiano Franco Battiato, per il quale scrisse e compose canzoni. Collaborò anche con altri artisti italiani che lo avvicinarono sempre di più all’amore per musica. Queste collaborazioni si tradurranno in un disco a nome proprio: Manlio Sgalambro. Ma sono i suoi libri, popolati dal suo pensiero, quelli per cui lo scrittore voleva essere ricordato. È interessante infatti ciò che dichiara in un’intervista rilasciata a Strapalando del 4 luglio 2012, quando il filosofo aveva 88 anni. Alla domanda per cosa preferisse essere ricordato, se per aver aver scritto molti anni prima La morte del sole o per aver collaborato con Franco Battiato, la sua risposta fu chiara. Manlio Sgalambro voleva essere «assolutamente» ricordato per la prima, così come – dichiara il filosofo – lo stesso Battiato vorrà essere ricordato per le sue canzoni.
Torniamo alla sua vita, a quando muove i suoi primi passi che lo condurranno all’amore per la filosofia. In giovane età infatti si appassiona a questa profonda materia, specialmente con i testi di Hegel e Heidegger. Nel 1946 pubblica per la prima volta sulla rivista Prisma, di Catania, un articolo dal titolo Paralipomeni all’irrazionalismo. Nel 1947 si iscrive all’Ateneo di Catania frequentando però giurisprudenza e non – come ci si poteva aspettare – filosofia. Il motivo della scelta è semplice: la conoscenza in ambito filosofico l’aveva già raggiunta da autodidatta, per cui sentiva il bisogno di avvicinarsi ad altre conoscenze. Questo non fu di certo un ostacolo alla sua passione per la filosofia che continuò a studiare sempre per conto proprio. Un vero e proprio intellettuale Manlio Sgalambro che unì l’interesse per il diritto penale a quello filosofico. Il sapere ci riempie l’animo e Manlio lo sapeva bene e per tutto il corso della sua vita non fece altro che accrescere le sue conoscenze.
Fino al 1963 riuscì a mantenersi grazie ai soldi che guadagnava con la sua scrittura, ma quando si sposò fu “costretto” a trovare un altro lavoro per sostenere lui e la sua nuova famiglia. Iniziò a fare il supplente nelle scuole e ad aiutare gli studenti nella stesura delle tesi. Nel 1982 inviò alla casa editrice Adelphi una raccolta di scritti con il suo pensiero filosofico che venne pubblicata con il titolo La morte del sole, a cui accennavamo prima. Iniziò così la sua vera e propria attività di filosofo, che continuò nel 1987 con la pubblicazione del saggio Trattato dell’empietà.
Voliamo ora sul pensiero filosofico che caratterizza la personalità di Sgalambro. Quando si iscrisse all’università era avverso alla filosofia vigente, quella di Croce e Gentile: l’idealismo. Perché era avverso al loro pensiero? Perché per lui il pensare rappresentava una distruzione e non una costruzione. In questo senso l’idealismo non faceva altro che costruire sistemi di pensiero. Ma distruggere, da sempre, in tutti gli ambiti, fa paura, specie quando si lega a questo verbo il sostantivo “pensiero”. Una delle opere emblematiche di questo pensiero che potremmo definire distruttivo è Della misantropia pubblicato nel 2012, in cui, tra le varie massime presenti, una molto interessante, su cui vale la pena soffermarsi è quella che fa parte de “il discepolo”:
«Nessuno deve entrare in una filosofia se non è disposto, almeno come possibilità, a non lasciarla per tutta la vita».
In una sola frase viene enunciata una profonda verità. La filosofia non è contenuta in una laurea da raggiungere , non sono mere nozioni contenute nei libri, ma la filosofia coincide con un sentimento, un sentimento che si traduce in un amore per il sapere, per le domande su chi siamo e dove stiamo andando.
La sua fu un’intelligenza che il mondo potrà definire irriverente, quando invece è terribilmente libera, libera da ogni forma di sistema di pensiero determinato dalla società nella quale ci si ritrova immersi. Definito un vero e proprio nichilista, spesso il filosofo rifiutava tale etichetta, anche se poi in fondo ci si ritrovava. A prescindere da questo, ciò che conta è che il pensiero di Sgalambro è davvero rivoluzionario e profondo, che merita di essere studiato e fatto nostro, come la sua idea circa la felicità che – come sostiene – è legata al pensiero. Ma questa affermazione si scontra con un’altra affermazione, forte e terribile, ma vera: il filosofo è colui che pensa, ma poi la realtà, o meglio, la storia, disfa ciò che il filosofo pensa. Al di là però di questa verità, finché c’è pensiero, c’è speranza, e questa deve rappresentare una certezza se vogliamo migliorare la nostra società.
Il suo pensiero si fermò il 6 marzo del 2014, quando Manlio Sgalambro morì all’età di 89 anni. Muore lasciando però al mondo molti dei suoi libri che conservano il suo prezioso pensiero filosofico che merita sicuramente di essere approfondito da chi non ha ancora avuto la fortuna di incontrare.