Giovanna Giordano in La Sicilia, 16 luglio 2014, p. 18
Dal ciclo della vita, ultimo libro di Manlio Sgalambro
È uscito l’ultimo libro di Manlio Sgalambro. Sì, proprio l’ultimo, non ce ne saranno altri.
Lo ha corretto fino a tre giorni prima di morire con la voce roca e la febbre. Dal ciclo della vita lo pubblica Il Girasole di Angelo Scandurra, l’editore che trascinava il vecchio amico in avventure editoriali con la sua ingenuità un po’ bambina, una certa ipocondria e la carta bella dei suoi libri.
A Manlio Sgalambro piaceva la carta di cartiera che usa Scandurra, quella carta impastata come una volta, ogni foglio fatto a mano e umido di acqua.
Questo libro che tengo in mano mi fa tenerezza e mi fa venire pure il mal di testa. Tenerezza perché questa sua prosa tremenda, feroce, quella del tuono, vacilla e si incrina nel pensiero della morte e della fine e si sente pure la struggenza che lui aveva nelle vene e nella voce negli ultimi mesi. E il mal di testa perché è così denso che vengono i capogiri. Si pensa di avere messo a fuoco un’immagine e poi subito ce n’è un’altra che incalza come un cavallo senza freno. Ma quale quiete, nel filosofo e nel poeta prima di morire. È l’urlo del vulcano.
Questo libro doveva uscire per i suoi novant’anni ma nel freddo mese di dicembre Sgalambro, uomo intelligentissimo, qualcosa presagiva e ha invitato l’editore amico a fare presto. Così le prime e le seconde bozze approvate nelle sue stanze cariche di libri lunedì tre marzo, tre giorni prima del sei marzo, alba della sua morte. E ora che tengo il libro in mano con una litografia di Franco Battiato, una danza di dervisci bianchi e blu che ballano come le sfere celesti, alcuni versi mi danno una pugnalata in testa. Ma era quello che voleva lui, mostrare la bellezza della ferocia del pensiero.
In questo libro galleggiano insieme immagini e concetti. Anche questa pratica strana, tutta sua, la poesia filosofica. Sotto un’apparenza confessionale, come tutti i poeti del mondo, saette e lapidi alle idee consumate dell’uomo.
«Insegui una lepre al bisogno ma non un sogno» scrive e ogni tre righe si trovano dieci riferimenti a cose, fatti, libri lettti e personaggi. «Essere poeta non vale niente» e «Vai, sciogliti al vento, ti ripeto. Mugola l’asse della terra. Segui l’incanto del suo moto». E «il collasso universale» e quell’idea di poesia «che porta le cose a sepoltura» mentre «i versi sono vermi che strisciano sulla carta».
E lui dotto ma anche semplicissimo ancora scrive «pensare mi riesce ancora» e «si prepara il silenzio». E il poeta che ha viaggiato soprattutto con i libri, confessa di sentirsi «pieno di occhi» dentro un mondo che «lascia immondizie». «Ne ho abbastanza di sentimenti», «l’anima è fatta di segreti», «come un fragile papavero mi piego. Greve precipito dal cielo un’altra volta».
L’ultima frase è «Fermiamoci qui». Fermiamoci qui. Non ci saranno più altri versi del vecchio filosofo che non aveva nessuna voglia di morire.