Giuseppe Consoli in La Sicilia, 13 aprile 2014, p. 21
C’è un’allegria pessimistica? Se sì, quella “acida” di Schopenahuer vi appartiene». In principio fu Corneille. Il tragediografo francese scrisse la sua illusione teatrale: la meta teatralità come riflesso sul teatro in sé. Cosa è dunque lo spirito del teatro? È qui che Manlio Sgalambro, nel suo ultimo libro L’illusion comique, edizione Le Farfalle, convoca Schopenhauer. Il postulato di una teatrocrazia a patto di un’unica verità vera: quella che avviene sulle scene. Schopenhauer, immagine fantasmagorica che si aggira tra i vicoli crepuscolari dell’Occidente; vomitando i propri rigurgiti salvifici riguardo la “Volontà di vivere” e chiamando in soccorso il Nulla. Ibrida confusione tra i confini della Vita e della Morte. Schopenhauer svela furori misantropici contro l’Umanità, sembra fissare il dolore dai covi più remoti, fino all’Assise della Conoscenza. Quale anticamera della Morte, solo la senescenza è punto privilegiato d’osservazione sul Mondo antico e su quello attuale. Infine, il Pensiero. Compagno fedele del tedio vivere; mentre, come rullo compressore, frantuma il bitume asfaltico dell’Esistenza. Niente magnifiche sorti e progressive. «La storia? La storia è fatta dai coglioni».