Alfio Lisi in La Sicilia, 9 marzo 2014, p. 31
«… Qui nel sud c’è un’espressione per dire che il peggio non è mai morto: mancu li cani». È una delle frasi inequivocabili di un’intervista a Manlio Sgalambro, che non amava, come dice di lui Massimo Cacciari, di essere pensato come filosofo: «il Filosofo» per noi catanesi (anche se era nato a Lentini). Gli stessi sono stati attenti, però, a torto o a ragione, a non farsi coinvolgere più di tanto dal suo inderogabile «pessimismo esistenzialista». Anche se qualcuno ha pensato che si trattasse di una sorta di libero cinismo condito dal solito snobismo intellettuale.
Forse il suo intimo ma inesorabile scetticismo di profonda e pura matrice siciliana (tra siciliani) non gli ha permesso di impugnare fino in fondo la spada della giustizia e della libertà dal potente di turno. Non la «spada» arrugginita e spuntata dei soliti e inafferrabili giustizieri di comodo e di turno, ma quella «laica» dell’Arcangelo Michele, quella della verità per la verità senza sconti.
Abbiamo perso un uomo (un intellettuale puro scomodo all’entourage politico/universitario) che lascia un vuoto oggi incolmabile, che poteva dare tanto di più alla nostra città, ma che per sua insindacabile volontà, e forse per nostra ipocrita negligenza, ha preferito lasciare a noi e ai posteri l’eredità dei suoi saggi e le canzoni di Franco Battiato.