Roberto Calasso in Corriere della Sera, 7 marzo 2014, p. 57
La testimonianza
Il manoscritto de La morte del sole arrivò alla casa editrice in una busta con questo indirizzo: Spett. Adelphi. La lettera di accompagnamento constava di due righe perfettamente impersonali: «Vi invio questo lavoro per una eventuale pubblicazione nelle Vs. edizioni». Il primo lettore diede un parere sfavorevole al libro. Ma fui colpito dal fatto che il frammento finale del manoscritto portasse un’epigrafe di Gottfried Benn, che si concludeva con le parole Fini du tout. Parole che erano anche il titolo, poi abbandonato, del libro. Si era alla fine degli anni Settanta e la cosa non era certo usuale. Cominciai a leggero e avvertii un timbro anomalo rispetto a chiunque altro scrivesse di filosofia in Italia. E, se mai, più affine a qualche irto teologo seicentesco o a un corrusco alessandrino. Da allora, leggere Sgalambro ha significato ascoltare la voce discordante, a volte aspra, sempre percettiva, di uno dei rari per i quali pensare era ancora un duello dove tutto è in gioco, così come lo era stato per il suo vero, indubitabile maestro: Arthur Schopenhauer.