La pietas leopardiana di un grande “maledetto”

Massimo Cacciari in La Repubblica, 7 marzo 2014, p. 41

Quando lo conobbi, già ben oltre il mezzo del cammino, non aveva ancora pubblicato alcun libro. Il suo volto, la sua figura bastavano a dirne il perché. Severi, inflessibili, esigenti. Alla presentazione nella sua Lentini della prima opera uscita presso Adelphi, La morte del sole, ascoltò con un misto di pietà e di affetto le parole entusiaste che gli rivolgevo, e rispose con un intervento così scarno e essenziale da sembrare quasi incomprensibile. La voce faticava a uscire e il suo timbro veniva così da lontano e tanto profondo, che provavi quasi vergogna ad averlo provocato. Vi era in lui, e vi è nella sua opera, una mescolanza dolorosa di pudore e disperazione. Il pudore trattiene dall’esprimersi la disperazione, così che ad essa non è mai dato “esibirsi”. Solo alla parola sobria, netta, precisa è concesso il privilegio di rappresentarla. La filosofia (ma Sgalambro non avrebbe amato il termine) è quella leopardiana “dolorosa, ma vera”, meglio: un pensiero lontano da ogni rituale pessimistico o scettico, che sembra piuttosto aver di mira un sistema, capace di render conto more geometrico della natura delle nostre passioni e delle nostre miserie, nella forma che esse assumono nell’epoca attuale, quella della “morte del sole” e della perdita di ogni centro. I suoi riferimenti sono quelli di una lunga, carsica tradizione “maledetta”, da Dante a un drammatico umanesimo, tra Alberti e Machiavelli, e poi Bruno e Leopardi. Vero pensiero libertino; nulla di iniziatico; pensiero che può combinarsi col razionalismo più esigente – credo sia stato il primo non solo a citare, ma a far uso in Italia di un autore come Emil Lask. Parlando Del mondo pessimo, senza enfasi (Del pensare breve), Sgalambro ne avvertiva anche la più profonda pietas – termine metafisicamente opposto a ogni sentimentalismo. Pietas viene dal sapere che il mondo è irredimibile, e che perciò siamo chiamati a compiere ogni sforzo per aver cura l’uno dell’altro. L’empietà di Sgalambro chiamava a una responsabilità assoluta – aveva occhi chiari e buoni, che il pianto pulisce, non vela.