La città dei morti

Manlio Sgalambro in Luigi Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all’interno del gran camposanto di Messina, Electa, Milano, (n.d.) 2013, p. n.d.

I cittadini di questa città abitano nelle tombe. Vivono in esse. Nelle loro tombe essi trascorrono la loro vita di morti. Gli arabeschi incisi sul granito, i volti riprodotti in pose solenni che guardano con occhi vuoti non hanno a che vedere con essi. In superficie su monumenti, o dalle scritte, non si vede la vita dei morti. Ma la tomba che si sostituisce ad essi. Piena di parole rituali da dove emergerebbe la grande stima che si ebbe di essi. In realtà la tomba non esprime quello che le parole roboanti oppure piene di pietà vorrebbero dire. La tomba di per sé nella sua greve nudità dice sempre di più. C’è un raccontino di Dostoevskij, Bobòk, che la dice lunga proprio sulla questioncina di cui stiamo trattando. Ma prima ci viene in mente una barzelletta spagnola del tempo in cui francesi, diversi secoli fa, costruirono il primo manicomio: “Hanno rinchiuso tutti i loro matti in una casa apposita, per far credere che loro sono savi”. Così secondo Dostoevskij capita con i cimiteri. A prescindere dalle scritte “Qui riposa il corpo del maggior generale Perdoedov generale di questo e quello… Riposa caro ‘cenere’ fino all’alba gaudiosa”, Dostoevskij racconta che una volta ogni sei settimane vi sono di quelli che seppur decomposti a un tratto borbottano una parola priva di senso: Bobòk… Bobok, e stanno a discutere seppur morti anche dai due ai tre mesi, dopodiché alla fine si sente ancora Bobok a cui segue un silenzio veramente di tomba. Naturalmente Dostoevskij non aveva una buona opinione dei cimiteri. E parlava di depravazione, anzi della depravazione delle supreme speranze. Noi ci dobbiamo domandare: ci devono essere i cimiteri? Sì, ci devono essere. Il granito si inzupperà dei pianti della vedova e degli orfani e col tempo si sbriciolerà. Non mi piacciono i morti, non mi piace abbellirli, adorarli, adornarli, eccetera, eccetera. Ma mi piace la morte. E non voglio che essi mi disgustino attraverso le cantafere che vi si depositino e mi facciano disgustare persino la morte.