Il Disumanismo

Manlio Sgalambro in Espedita Fisher, Eremiti, Castelvecchi, Roma, (febbraio) 2012, pp. 21-23

Il mio bosco, la mia personale ascesi, è un’ascesi mentale. Cerco di liberarmi dal pensare, resto per i fatti miei. Scrivo libri e li pubblico, ma dentro sono come il ghiaccio, un eremitico, uno che non dice le cose, ma tace. Questo tipo di contemplazione dà la lucidità di una morte che rilancia, come il giocatore al tavolo della vita, dove c’è sempre da vincere qualcosa dentro di sé, per somigliare a un diamante negli ultimi giorni del proprio esistere.
Aspiro a terminare i miei anni in una conventualità, anziché attingere dalla spazzatura qualche osso rosicchiato. Da un punto di vista monastico potrei guardare alla realtà in modo più trasparente.
Vi è in questa ricerca di isolamento l’esigenza nascosta non tanto di moralità, ma di verità. «La più alta forma di moralità è di non sentirsi a casa nella propria casa». Spazzerei via il concetto di male e bene, dal mio punto di vista non aiuta a ritrovarsi. La forma di eremitismo che voglio intendere è quella di chi si isola non per salvare l’anima, ma per disperderla al vento.
Forse i molti mistici che davanti alla grande crisi del mondo antico, a ridosso dei tre primi secoli dopo Cristo, fuggirono dalle città e dall’istituzione ecclesiastica per tornare all’essenza del messaggio cristiano possono dire ancora qualcosa all’uomo di oggi. La crisi contemporanea ripresenta la stessa necessità di uscire dal tempo, per riscoprire l’essenza della Religione, incarcerata dall’istituzione. Ma farlo nella forma tradizionale è impossibile per la maggioranza di noi.
Nascono così numerose forme di vita eremitica, tante quante gli uomini. Ognuno ne cerca una che risponda alle proprie esigenze, una forma di isolamento che gli consenta di viversi e lavorare, interagire con gli altri pur mantenendo il distacco. E rispondere ai perché misteriosi che ci abitano.
L’eremitaggio di oggi non è quello delle pianure e distese sabbiose: è interiore. Si basa sull’esigenza del singolo di ritrovare una via di conoscenza che lo disseti dall’imperante arsura di contenuti del mondo moderno. Il nuovo eremita non vive in una grotta, né in una baracca. Non caccia via il Demonio, ma tenta di scacciare le sensazioni che possono oscurare la propria mente. L’eremita antico si concentrava sulla purificazione: l’unico interlocutore era il diavolo, dal quale riceveva sollecitazioni. L’eremita moderno trae solleciti da innumerevoli fonti. Per lui l’unico modo di elaborare quell’identico bisogno di solitudine è l’isolamento dell’animo. È senza legami, né con Dio né con la patria, e ha risposto a un’intenzione di solitudine dal profondo di sé, maturando la coscienza di dover morire solo, da cui ricava ogni altra possibile crescita. Questa esperienza di grande poesia rende attivo il proprio essere soli, nella sua forma più nascosta: la ricerca. Questo è il motivo per cui si tende a penetrare il silenzio in una molteplicità di forme. L’esigenza radicata di isolamento trae origine dalla consapevolezza che da soli vivremo l’esperienza della morte, e che forse da soli abbiamo vissuto tutta la vita. Il senso dell’eremitaggio moderno è la possibilità di dedicare tempo a se stessi per trarre ogni possibile conclusione dal fatto che siamo soli e moriremo soli. La solitudine è riflessione sulla morte.
Con il termine Disumanismo mi rivolgo all’uomo che brami liberarsi dalle tentazioni non della carne, ma del falso spirito. L’obiettivo è scolpire l’essere. «Tutto ciò che tu sei l’hai scelto, la responsabilità non è degli dei». La tentazione che ci sia un Dio da cui dipendano i nostri fallimenti la definirei una caduta della mente. Un Dio a cui attribuire l’infelicità corrisponde a una vita che non appaga. Se ogni potere è delegato a Dio, il rapporto con il sacro si riduce a una sudditanza ottusa. Il punto di vista dell’uomo non è preso in considerazione, il mondo va avanti senza che lui se ne assuma il peso. La nostra umanità è responsabilità. Per gli uomini del futuro sogno un Disumanismo più che un Umanismo: l’intendo come una forma di elevazione della condizione umana.
Nel IV libro dei Maccabei c’è scritto: «Risorgeranno le mie budella». Si parla di resurrezione e fiducia in Dio, un abbandono totale che rende capaci di rinascere e superarsi. L’umanità deve essere sorpassata, non in un Superuomo nietzschiano ma verso il Dis-Umano, un invito controcorrente: una rinuncia non ai piaceri della carne, ma del falso spirito.
Spesso il problema dell’uomo è il problema della spiritualità.