L’ultima di Sgalambro

Giuseppe Testa in Vivere Sette (suppl. di La Sicilia), II, n. 16, 26 aprile 2007, pp. 1 5-7

Quaternario, quasi un giallo ma molto di più. Un libro difficile ma originale, da amare oppure odiare senza mezze misure

Il delitto perfetto di Manlio Sgalambro

Edito da Angelo Scandurra, Quaternario è un diario d’idee e di emozioni dell’intellettuale catanese. Un libro impudente, così ardito da risultare insostenibile. Ma va letto fino in fondo o, infine, abbandonato in un angolo

«Il delitto era stato commesso da una che era stata sua allieva. Lui le aveva insegnato le arditezze necessarie. Forse si era spinto sino a un elogio. Non voleva che le sfuggisse nulla. Creare, sopprimere sono atti divini. Dio è un magnifico assassino. Solo la teologia poteva rendere conto di ciò che egli intendeva per “delitto”. Ridurlo solo a un atto della mente. Questo le aveva insegnato… Tuttavia, nulla è più stupido di un delitto quando è avvenuto.»
Tutto può accadere a un filosofo che si diletti di criminologia. O forse, chissà, di criminolatria. Invitato a sussiegosi convegni sull’omicidio («Chi meglio di Lei…?»), capace d’avventurarsi in una kantiana Critica del delitto, comincia a buttarla giù, arriva addirittura a un passo dal terminarla, finché un (bel) giorno si ritrova a misurarsi non con “il” delitto, ma con “un” delitto: quello e nessun altro. Il delitto dell’allieva a cui, pure, aveva insegnato a «esserne capaci, ma niente di più».
Allora, non c’è più critica che tenga. Però, c’è ancora «una filosofia che consiste soltanto in un atto». Un atto contro i fantasmi: «da che Althusser uccide la sua compagna il suo problema diventa un altro. Ormai non è più la sua straordinaria vicenda teorica che abbiamo davanti: egli l’ha oltrepassata. Quello che ci mette in rapporto con Althusser non è più un libro: noi dobbiamo capire un delitto».
L’inchiesta diventa inseguimento. L’inseguimento, viaggio. Il viaggio, racconto. A Parigi. E dove, sennò? Perché Parigi è fatta dei suoi scrittori, «è fatta di parole, non di mattoni. E bisognava che stesse a Parigi dopo che Parigi era stata tanto tempo» dentro di lui.
Boulevard, lungosenna, bistrot, pernod, Notre Dame e rue Pigalle. Tutta la paccottiglia del pariginismo che, non essendo Parigi, ne ha confezionato il mito. In questo teatro d’ombre si compie, infine, l’incarnazione del filosofo, il suo incontro con quei concetti incarnati che chiamiamo uomini. E donne.
Quaternario è nato così: come studio d’un problema concettuale che improvvisamente diventa diaristica misura del reale.
«Sono felice d’averlo stampato – gongola Angelo Scandurra, editore non di giro, ma di gusto raffinato, poeta di predilizioni rare – sono felice che Sgalambro abbia scelto “Il Girasole” per abbandonarsi al sentimento dell’esistenza dopo così tanta, e così alta, esegesi sul senso dell’esistere».
Il filosofo è seduto al suo fianco. Porta un cappotto nero e si concede volentieri ai fotografi. Ma è parco di parole. Più del solito: «In ogni siciliano c’è un conta-favole e io so, per esperienza, che dell’irrazionale si può soltanto narrare. Sorge, delle volte, come un bisogno di dire all’altro qualcosa. Questo volevo fare. Questo ho fatto».
Come si fa a sapere se nell’autore, come nel suo alter ego, si nasconda il cultore del delitto quale forma del pensiero agente? Chi può dire di un racconto: questo è vero, quest’altro è inventato? Certo, la suggestione è forte, gli indizi sono tanti. Ma, pellegrinaggio o peregrinazione, questo tuffo nei misteri di Parigi rimane, comunque, «uno stato d’animo: lieve, lirico quasi». Dice così l’editore. E costringe subito l’autore sulla difensiva: «Non sono sicuro di non essere incappato anch’io nel pariginismo. Sono ciò che “dico”? Oppure, mi nascondo in esso? Potrei aver mescolato al mio modo di filosofare anche il mio modo di lamentarmi».
Si goda il lettore ogni diletto dell’enigma, se non può bearsi della felicità di risolverlo. Non se ne pentirà. Non capita sovente d’imbattersi in un filosofo mise à nu. Chi si aspettasse una confessione, forse rimarrebbe deluso. Eppure, traspare in non pochi squarci la tentazione di Agostino di Rousseau: l’impulso infrenabile di dirsi all’altro, di confessare per assolversi o per dannarsi da sé: con le intolleranze, le ubbie, i capricci e tutte le maschere del caso: «una volta era il suicidio che mi attraeva. Arrivavo fin quasi al punto e poi niente… Che brividi, che scorpacciate di sensazioni…».
In forma di diario intimo, Quaternario è un libro impudente. Sotto specie di autoanalisi è invece così ardito da risultare insostenibile. Insomma, ci vuole tanto coraggio a stamparlo, quanto fegato serve per leggerlo. Ma va letto fino in fondo o, infine, abbandonato in un angolo. Capita a pochissimi libri. Quasi sempre sono il frutto d’incontri inconsueti: fra un piccolo editore, per esempio, che pubblica per amore e il grande autore che scrive per orrore. Stavolta, la coincidenza scatta fra siciliani: generoso l’uno e passionevole, di scorza fredda, ma poi insondabile l’altro. Perfetta mistura, in fondo, per il più perfetto dei delitti compiuti sulla carta.

Tra aforismi e pensieri “oscuri”

Questo racconto si svolge tra piccoli trattati, aforismi e pensieri “oscuri”. Sullo sfondo si intreccia una vicenda tra il “narratore” e uno spirito affine. L’autore, in questo libro, rievoca la propria visione del mondo, per sensazioni ed emozioni, attraverso una scrittura appassionata.

Dal libro

Se estendo il mio sguardo agli effetti di un’azione, mi sembra temibile il risultato. Mi sembra, anzi, che ciò che viene chiamato “bene”‘, proprio perché universale, amplia in proporzione i suoi effetti che possono essere sciagurati. Mentre quello che si chiama “male” costretto com’è dai limiti della sua piccola provincialità, ha zone d’influenza senz’altro minori e più abbordabili. Sì, il male è provinciale. Comincia dal bottegaio che ruba sul peso e va a finire nel gesto del marito che pesta la moglie infedele. Al di là di questi o simili atti vi è il “male” di Nerone come il delitto dell’assassino, ma chi può calcolarli? È proprio “male”? Oltre un certo limite il male non è più individuabile… Non esistono mostri in questo grande affare del mondo. Quando butto giù questa lenza non pesco che qualche ladruncolo, dei corrotti, e altri reati di giornata. Se è un male più grande, allora non è più il male, è il mondo.