Anna Vasta in La Sicilia, 20 gennaio 2006, p. 23
Ancora sul Pessimismo Manlio Sgalambro nel De mundo pessimo, Adelphi, pagg. 269, € 13,00. Con toni armati, di chi viene a portare la spada nel tempio profanato della filosofia, dove bivaccano filosofi senza onore. Per il filosofo l’onore sta nel farsi carico della verità, nel perseguirla sino in fondo, anche la dove gli e contro.
Nel difenderla con le unghie e coi denti contro tutti, persino contro se stesso, e pure a prezzo della vita. Come dire “la verità o la vita”. Un regolamento di conti nel De mundo pessimo con quelle “filosofie politiche” che si trastullano col sociale, vanno cianciando di progresso e di magnifiche sorti; e confondono il mondo con la società. La quale, seppure governata da leggi inique, per quanto porti impresso il marchio della bêtise, della insensatezza, tuttavia niente ha a che vedere con quella selvaggia, feroce totalità, con quella terrifica, sinistra vis annientante, che è la volontà di potenza e la sua rappresentazione, il mondo. Al suo cospetto essa, la società sbiadisce a melensa arcadia, a melassa di melo-dramma. Un filosofo che voglia fregiarsi di questo titolo onorato, non può indietreggiare di fronte al mondo – che è “il pessimum”- e al giudizio su di es-so. Ma dacché tutto è stato detto, all’ “epigono”, toccò in sorte di succedere a quei grandi uomini che hanno fatto nel bene e nel male la filosofia, non la sua storia – categoria deprecabile da bandire da scuole e università – cosa resta? Se non piegare il capo e curvare la schiena sotto il peso delle “evidenze”, percorrere il cammino della verità sino “al suo contro”?
La venta al grandi, che lo hanno preceduto, all’epigono “il suo nucleo più crudele”. Il pessimismo che Sgalambro indica come percorso di conoscenza, e propone come scuola di verità – “vero è solo il peggio” – a cui formare le giovani menti, certo non è un pessimismo dal volto umano, una filosofia spicciola, del piangersi addosso, vittimistica e consolatoria, buona per miserabili accattoni. Il suo è un pessimismo ontologico, metafisico, congenito all’essenza del mondo, al suo “pessimum”.
Una filosofia che si rispetti – sostiene l’autore – e una scienza degna di questo nome dovrebbero accantonare la questione dell’Origine, dell’Inizio, e occuparsi della fine del mondo, con tutto il male che gliene incoglie. Una filosofia che guardi agli uomini, come a una comunità di morenti, non di viventi, è una filosofia che “onora la verità”, quindi un pensiero nobile, regale, per “eroi dello spirito”. “Parerga”, scritti che precedono, anziché seguire, un pensiero sistematico, chiama Sgalambro i brevi trattati che compongono questo libro e anche – te ne accorgi alla fine – un coerente discorso filosofico. I cui temi sono si legati alla contemporaneità, ma rivoltati come un calzino nel loro contro, resi perciò inattuali; dunque eterni. L’argomento ecologico, visto dal suo contro, si riduce alla risibile pretesa umana di “conservare la natura, di proteggerne gli animali, gli alberi”, quando in un niente può annientarci e ridurci in polvere. “La nostra vita da pulce” contro “la sua immane potenza”. Il comunismo “approdo ultimo del pessimismo”, sottratto alla politica, e consegnato alla morale, si fa modello etico di comunione degli esseri umani, non in funzione della vita, bensì in vista della morte. La morte planetaria, del sistema solare, dello spegnersi delle stelle, del venir meno della luce e del calore vitale.
Più controcorrente che mai, in tempi di ateismo devoto, riproporre l’empietà, come un credere a Dio, non in Dio. Eroe e martire del pensiero empio, G. C. Vanini, filosofo estravagante, chierico libertino, ribelle a Dio ed agli amici suoi; dietro il quale non è difficile intravedere lo stesso Sgalambro, con la sua ispida, acuminata filosofia, non per lettori, ma per discepoli – questo chiede il filosofo: sottomissione, piuttosto che compiacente adesione – da abbracciare in uno spirito di apostolato, per poi magari rinnegare, come si conviene a un discepolo degno del suo Maestro.