Manlio Sgalambro in Franco Battiato, Bitte, keine Réclame, Rai Futura, 25 dicembre 2004
«Non soltanto il cielo stellato, ma lo spettacolo di divette che ballano può essere sublime. Può cioè mostrarci l’abisso che la vita può porre tra sé e il piccolo individuo che vedrà sempre tutto attraverso un vetro spessissimo: lo scintillio dei diamanti o l’arcuarsi di quei bei corpi di cui desidera l’abbraccio. Nel sublime l’individuo riscatta la sua piccolezza, ad esempio qui, mediante la riflessione che l’innalza, ma quei giovani corpi si fanno beffe della nostra riflessione e si concedono beati all’abbraccio altrui. Per compenso si è capito ancora un passo dei Principia Mathematica o non ha più segreti il settimo libro della Metafisica… L’idea della immortalità si lega all’idea di un bel corpo; ma, mentre quei corpi millantano la vita, l’idea di verità, che da quelli abbiamo appreso, ce li fa vedere già cadaveri.»1
«I bambini sono ormai quasi esclusivamente un trastullo per l’adulto. Da quando la donna non lo è più, la bambola di casa ora è il bambino. Senza volerlo lo anticipa Tolstoj – pur con tutta la sua arcigna domanda: «e perché mai dovrebbe continuare il genere umano?» -, quando fa dire a un personaggio della Sonata a Kreutzer: «…il piacere che può dare un bambino con la grazia delle sue manine, di quel nasino, di quel piccolo corpo…». Il che si riscontra nel ‘rapimento’ della madre vicina al suo; dove, nei tratti e in tutto si può vedere che non è il bambino che imita l’adulto (la bambina che giuoca alla mammina col bambolotto), bensì l’adulto imita il bambino. Questo cinico giuoco non è un motivo addotto qua e là, ma una tendenza reale della storia. Esso rappresenta la felice profanazione del concetto di figlio: un passo verso l’acquisizione, per la specie, che non vale la pena della sua conservazione.»2
- in Manlio Sgalambro, La morte del sole, Adelphi, Milano, (aprile) 1982, § IV, ¶ 17, p. 158
- ivi, § III, ¶ 28, pp. 128-129