Una voce alla Gaber per «Me gustas tú»

Gianluca Lo Vetro in L’Unità, 30 ottobre 2001, p. 23

Il disco

Milano. Alla nonna piacerà il romanticismo di Non dimenticar le mie parole, al nipote il no globalismo di Me gustas tú. Gli amanti della musica black apprezzeranno We have all the time in the world di Armstrong: i cultori del rosa ritroveranno il Macario di Camminando sotto la pioggia. E se la colonna sonora di Casablanca As time goes by è perfetta per gli animi retrò, al tempo stesso non fa una grinza per le nuove generazioni cultrici del vintage, anche in fatto di musica.
Fun Club, la prima fatica musicale dell’interprete Manlio Sgalambro, nei negozi dal 2 novembre, è perfetta per mettere d’accordo tutti. Anche quel pubblico così sofisticato che abitualmente prende le distanze dalla musica leggera. E che pertanto accoglierà con entusiasmo l’esperimento interdisciplinare di questo album presentato ieri a Milano col contorno di una gara di ballo a coppie anch’essa a cavallo tra la Romagna più naïf del liscio e quella più onirica del Fellini di Ginger e Fred. Un capolavoro di equilibrismi, insomma.
Al punto che non ci sarà nulla da eccepire persino sulla voce di non professionale di Sgalambro. Perché lui, astuto, canta col megafono, interpreta con toni radiofonici da radio Londra, un po’ gracchianti o scherza sino a ricordare il Giorgio Gaber della Torpedo blu. Così, nessuno si accorge che dietro il microfono a misurarsi pezzi sacri, tipo Moon river o La vie en rose, c’è un filosofo, anziché un cantante.
Per contro, negli arrangiamenti, è inconfondibile il sofisticato apporto musicale di Battiato. Difficile stabilire chi tra i due artisti abbia influenzato «chi». «Se qualcuno assorbe l’altro e cambia – osserva Sgalambro – si finisce impastati. Diciamo che dal nostro incontro è nato un qualcosa in più…». Una fusion, di logica più che di moda, tra ironia e poesia.
Una nuova filosofia musicale che in questo disco si chiude con i versi di Bachianas brasileira n. 5. Rime che parlano di un «Sano gusto d’arcadia» e di «attese che si tramutano», concludendosi con «e l’aria mi basta». Un inno alla leggerezza vitale e alla vitalità della leggerezza.