Gianluca Lo Vetro in L’Unità, 30 ottobre 2001, p. 23
Un disco di evergreen per Manlio Sgalambro, complici Battiato e la globalizzazione
MILANO«Il primo evento del globalismo è stato il terrorismo», teorizza Manlio Sgalambro. Anche se il filosofo parla con toni scherzosi del suo primo disco, Fun club (Sony Music), è inevitabile che il discorso caschi li: sulla spinosa questione dell’11 settembre. Un po’ perché di questi tempi tutti i giornalisti si sentono in dovere di introdurre il fatidico argomento «guerra» in qualsiasi discussione di qualunque ambito. E un po’ perché nell’album d’esordio del filosofo (e già l’idea di un disco pop firmato da un anziano filosofo appare abbastanza bizzarra) tra dodici remake di evergreen e una poesia, figura anche il rifacimento di Me gustas tú: inno «no global» di Manu Chao.
Per la verità il filosofo di Lentini che l’anno prossimo pubblicherà De mundo pessimo, non è la prima volta che si misura con la musica più «prosaica», cioè quella leggera. Dal ’94 è uno dei più stretti collaboratori di Franco Battiato. Oltre ad aver composto libretti d’opera e commedie per l’artista conterraneo, ha scritto testi di album come L’imboscata e Ferro battuto. Nel tour che ha preso titolo da quest’ultimo disco, Sgalambro si è pure esibito dal vivo con un intervento cammeo.
Ma questa è la prima volta che il filosofo e un filosofo contemporaneo incide una vera e propria compilation. Della quale in un’ennesima e continua osmosi di ruoli, Battiato è produttore insieme a Saro Cosentino. A chi è venuta l’idea di questa nuova contaminazione?
«Ne a me, né a Battiato», risponde Sgalambro. «La proposta è arrivata dalla casa discografica che mi ha scelto con logica da dio calvinista. Non per i miei meriti, visto che ci sono molti altri cantanti più bravi di me in attesa di incidere un disco, ma per puro arbitrio del dio medesimo». «Si sa che la Sony ha sempre avuto una gestione satrapica», commenta a latere un critico per ricondurre la discussione dalla filosofia alla musica. Così, piglia la palla al balzo chi è curioso di sapere se Sgalambro andrà a Sanremo. Peccato che ci sia già stato. Naturalmente, nell’edizione sperimentale e trasversale di Fazio. «Mi colpì quel frullato di generi in cui entrò anche Gorbaciov – torna a riflettere Sgalambro -. Fu rappresentativo di una società dove tutto, oltre allo spettacolo, è spettacolirizzato. In maniera tanto occulta, quanto evidente». Ma se abitualmente lo show banalizza e ridicolizza per fare audience anche gli argomenti più seri, nella sublime leggerezza di Sgalambro, «la canzonetta» diventa un mezzo per comunicare pensieri alti. Pertanto, il gusto della sperimentazione disco-filosofica del Professore, si ricollega «al piacere di superare i limiti e buttare il pensiero un po’ più lontano, per poi andarselo a riprendere». Un esercizio come quello del funambolo, quando finge di scivolare conscio del suo estremo equilibrio sulla fune: «Una sorta di rivalsa su quella condizione umana di perenne disperazione che – secondo il pessimismo metodologico di Sgalambro – è determinata proprio dai limiti invalicabili. A partire dalla morte». Tutto questo nel vissuto dell’interprete, naturalmente. Ma agli altri come suoneranno questa canzoni? «Come un buon bicchiere di vino. In un album che potrebbe essere una bottiglia di Sassicaia». Il rosso toscano ancor più raffinato del Brunello di Montalcino. Il distillato dei distillati. Del resto Sgalambro è convinto che «nei tre minuti di un brano si possa sintetizzare ciò che un’altra opera racconta in 400 pagine. E comunque, una canzone è sempre un momento di alleggerimento. Credo possa salvare una vita. Non a caso ho scritto Breve invito a rinviare il suicidio».
Il collegamento alla triste e luttuosa attualità scatta immediato. Un’opera lieve e ironica per sollevare gli spiriti abbattuti dalle sciagure dell’11 settembre?«Oh guardi – nella sua grande tragedia questa data non è che una summa delle tante tragedie diluite nell’arco dell’esistenza umana. Forse sono così pessimista perché ho trascorso la mia vita nella riflessione. Al contrario degli altri che praticano questo esercizio solo nelle pause di ricreazione. Ma se guardo al futuro dell’umanità con buchi neri e galassie in rivoluzione, non so quanti 11 settembre vedo…». Anche la globalizzazione rappresenta una minaccia? «Io non sono certo un globalista – conclude il filosofo – ma sono convinto che il terrorismo sia il primo evento della globalizzazione. Perché è pre-tecnologico. Dunque, lo governano meglio tutti quei popoli, che sono rimasti indietro. Tanti».