Paride Sannelli in La Sicilia, 8 aprile 1999, p. 35
È partito da Casale Monferrato il nuovo tour di Franco Battiato
Casale Monferrato – «Se avesse saputo suonare il sassofono, quest’uomo, tutti avremmo ballato» recita il professor Manlio Sgalambro, insigne filosofo prestato al rock, comodamente seduto sulla poltrona che un tapis-roulant porta da un lato all’altro della scena.
L’«uomo» in questione ha il sorriso e l’ironia di Franco Battiato, che non suona i fiati ma ha ugualmente armi per eccitare i sentimenti della gente.
E il suo nuovo spettacolo, portato al debutto l’altra sera a Casale Monferrato, non tradisce le aspettative, spiazzando tutti fin dalla prima delle 28 canzoni in repertorio, ovvero quella Fornicazione che il cantautore esegue riverso su un canapè sospeso tra azzurri magrittiani.
Un inizio sopra le righe, e sopra le nuvole, per un concerto che fa del rigore la sua carta più importante.
Un’esigenza di sobrietà a cui risponde innanzitutto l’enorme boccascena grigio e vuoto su cui lo sciamano pop si muove aiutato da pochi, scarni, elementi.
Innanzitutto i tulle motorizzati che fungono ora da sipario ora da schermo, rilanciando stupefacenti immagini in bianco e nero di Maria Callas durante l’esecuzione di Casta diva o ruotando un sinistro lunario medievale in Fu quello che fu.
Ma la vera forza della messa in scena sono le luci ideate da Billy Bigliardi, che con l’aiuto di riflettori computerizzati e di raggi laser vagheggiano gabbie di luce ed altri sorprendenti effetti ottici.
L’ultimo album Gommalacca torna quasi per intero, mentre dal passato, oltre ai successi di sempre, riemergono frammenti poco frequentati come Paranoia o La convenzione, arrangiate proprio come nella versione originale del 1970.
«E fra le sorprese un posto di primo piano merita pure Stage door, un brano pubblicato come ‘facciata b’ del singolo Shock in my town che i fans mi hanno richiesto via Internet con un entusiasmo pazzesco» ammette il compositore siciliano. «È un pezzo duro, tristissimo, nero, e per questo tanto entusiasmo mi ha sorpreso».
In Vite parallele due figuranti traversano la scena seduti su un gigantesco cubo, nell’introduzione di E. Shackleton, dedicata al pioniere dell’Antartide, Sgalambro veleggia sul suo vascello fantasma, ma già dal prossimo spettacolo ad arricchire alcuni quadri ci sarà pure la coreografa cinese Li Rong Mai, maestra di Tai Chi, «rubata» all’anteprima di Casale da una brutta influenza.
Il gran finale è tutto sulle corde dello storico La voce del padrone, con Bandiera bianca, Cuccurucucú e Centro di gravità permanente, anche se il cammino non incontra tutte le pietre filosofali della produzione passata.
Mancano, ad esempio, Povera patria e Prospettiva Nevskij.
«Il musicista deve disattendere i gusti del pubblico, trovo che seguirli è una delle cose più aberranti che possano capitare in questo mestiere» confida Battiato.
«Il repertorio? Ogni brano ha una giustificazione visiva che aiuta a non annoiarsi. Anche le sedie a sdraio o gli ombrelloni che uso in scena hanno un richiamo solo apparentemente realistico, visto che tutto è trasfigurato e usato a fil di metafora».
Le postazioni dei musicisti, fra cui Stefano Cecere alle tastiere, Lele Melotti alla batteria e Chicco Gussoni dei Bluvertigo alle chitarre, si trovano ai lati della scena, mentre il pubblico trova spazio in quello che nei teatri è il golfo mistico.
Domani appuntamento al Filaforum di Milano, per poi proseguire alla volta di Pesaro il 10, di Treviso il 12, di Bologna il 13, di Caserta il 15, di Perugia il 16, di Pescara il 17, di Roma il 19. di Genova il 22, di Verona il 23, di Brescia il 24. di Torino il 26, di Firenze il 27, di Catania il 29 e di Marsala il 30.
«Poi mi dedicherò interamente all’opera che porterò al debutto il prossimo anno a Roma nell’ambito delle manifestazioni per il Giubileo» conclude l’eroe di Patriots. «È una storia di Babilonia, in cui il multilinguismo è visto come coesistenza di culture diverse piuttosto che di separazione. Ma sto concludendo pure l’annoso lavoro Ascesa e caduta di Troia, che spero di far debuttare entro il 2001. Poi penserò seriamente al suicidio… anche se la casistica in materia è poco confortante. Milošević, ad esempio, ha la madre che s’è tagliata le vene, il padre che s’è impiccato e lo zio che s’è sparato, ma questo non gli ha impedito di dare il peggio di sé».