Esprimersi senza parole

Manlio Sgalambro in Ideale, n. 1, novembre 1998

Comunicare è da esseri frettolosi, gente che si deve scambiare le poche parole occorrenti di corsa, compari che con una ammiccata, un rutto o un alzar di ciglia segnalano le loro burrascose intenzioni. Comunica anche un pugno ben dato, uno scapaccione che si dà al figlio recalcitrante. A questa specie di funzione risponde comunque il comunicare. Il gran parlare che si fa della comunicazione, dei mezzi di cui essa si serve, lo stridore dei discorsi che non stanno in piedi comunica il significato del comunicare meglio di tutto. Comunicare è animale, solo esprimersi è umano. Così si potrebbe riassumere la faccenda. Il Comunicare prende esempio dal branco, dal rapido segno che si scambiano i lupi, dal ronzio delle mosche, dallo squittio dei topi. Per mezzo di essi comunicano indicazioni che si eseguono rapidamente. Il branco cambia direzione, si prepara alla lotta o al riposo. L’uomo comunica con la donna per mangiare, avere un coito, perché gli spazzoli il vestito. O si accordino per una pizza la sera. La donna per cose simili. I cosiddetti grandi mezzi di comunicazione di massa (ma ogni comunicare è di massa anche se mette in comunicazione due soli individui) servono a divertirli, stupirli, istruirli, informarli con rapidi segni che non costano niente o per meglio dire, che costano altri tipi di segni (il denaro), o appagano con altri segni: il riso, lo stupore, la paura, scatti meccanici come i tic… L’uomo si esprime. Qui è l’uomo. Ma tra le sue varie funzioni, mangiare, masticare, digerire, evacuare, mingere eccetera vi è anche quella di comunicare. Niente di più. Nell’espressione, invece, qualcosa si forma, prende vita, un altro la raccoglie come si raccoglie un fiore di campo, senza perché, senza scambio…