«La mia infanzia a Lentini vivendo da vero fascista»

Paolo Mangiafico in La Sicilia (ed. di Siracusa), 6 ottobre 1998, p. 22

Manlio Sgalambro

Il filosofo lentinese, premiato a Sortino con il «Marranzano d’argento», parla della sua giovinezza e del suo pensiero

«A Manlio Sgalambro, filosofo, che riconferma alla sua, alla nostra Isola i fasti che fanno del pensiero, li momento più nobile dell’uomo». Questa la motivazione con la quale al filosofo lentinese è stato conferito da parte dell’Uniocus (unione operatori culturali di Sicilia) il «Marranzano d’argento», durante una cerimonia che si è svolta nella chiesa del Carmine di Sortino. Il prestigioso riconoscimento, già assegnato in altre occasioni a Leonardo Sciascia, a Vincenzo Consolo, a Salvatore Fiume, a Gesualdo Bufalino, è stato consegnato a Manlio Sgalambro da Paolo Greco, responsabile provinciale della Sfi (società filosofi italiani). La presenza nella nostra provincia di un personaggio come Manlio Sgalambro, che la lasciò all’età di vent’anni, per trasferirsi nella vicina Catania, è stata occasione per intrattenerlo su diversi argomenti, partendo dalla sua Sicilia lentinese, per finire alla Sicilia in generale, passando dal suo modo di intendere la filosofia, sugli aspetti della società che va verso il terzo millennio, sul suo pensiero sui giovani, sull’esperienza musicale fatta con Battiato, e sul suo futuro. Ma proprio sul futuro arriva una sua sbalorditiva risposta: «Futuro? Una parola che non ha senso». Ed ecco, quindi, venire fuori quel filosofo che si può definire del «carpe diem», quel filosofo della frammentarietà, del pensare breve, che tanto ha disturbato la filosofia accademica, fatta di sistemi filosofici, oggi, ormai, tramontati.
Per Manlio Sgalambro, invece, come ha detto Paolo Greco, ha un senso il passato, perché è un ritorno alla memoria, è un ritorno a ciò che è umanamente eterno. «I miei anni formativi, o meglio disinformativi, se si fa riferimento a un determinato periodo, – esordisce Manlio Sgalambro – li ho trascorsi a Lentini, vivendo in pieno il ventennio fascista. Anche se dentro di me non accettavo nessuna forma di imposizione, tuttavia anch’io come tutti gli altri giovani di quel tempo ho dovuto sopportare la trafila: figlio della lupa, balilla, avanguardista. Però non appena, poco prima dello sbarco alleato del luglio 1943, avvertii che spirava un lieve alito di cambiamento, aderii al movimento separatista, perché pensavo che separando la Sicilia dal resto dell’Italia, significava anche separarla dal fascismo. Poi è finita come è finita ma già avevo lasciato Lentini ed avevo iniziato a dominare la filosofia, non attraverso la miserabile storia del pensiero filosofico, perché non si domina la filosofia dominando i manuali, ma attraverso esercizi filosofici in cui la devozione del pensare viene portata, sballottata da tutte le parti, cogliendone il lato prezioso e il lato intimo, il lato energico, furioso e il lato ossessivo, in cui pensare, ora lo maledici, ora invece ti senti squassato in modo positivo».
Sul cammino musicale intrapreso con Battiato nel 1994, Manlio Sgalambro non si è prefissato il raggiungimento di una meta, in quanto per lui «interessa il cammino, non la meta». Interessante è la sua opinione sull’attuale società, «una società – dice il filosofo – che si avvia verso il terzo millennio, colta in un momento di smarrimento, ma come tutte le società che sono rette da una conservazione feroce, ne verrà fuori. Non per le speranze, ma perché è così. La società è una macchina che, a livello di quei Paesi che si definiscono mondo, soffre di parecchie disfunzioni, ma se ne porterà fuori. Il problema è quello di affrontare tutto questo con una forza interiore straordinaria. Non si può vivere nei nostri tempi da vermi: bisogna scegliere».
Sui giovani, Manlio Sgalambro dice che con il loro comportamento hanno apportato a livello di demistificazione parecchie cose. «I giovani di oggi – afferma Manlio Sgalambro – hanno ereditato dai giovani del ’68 la parola. Nel ’68, in fatti, i giovani non presero la Bastiglia, come nella rivoluzione francese, ma ci fu la presa della parola. Allora si dissero cose che non erano state dette ed oggi in nome della parola i giovani hanno fatto della notte il loro regno. Io li chiamo “i Fürher della notte”. Camminano per la città e svolgono una vita parallela a quella del giorno e questa vita provoca in loro una grande eccitazione.
Loro si approvano così, perché allora dovrei chiedere di comportarsi diversamente? Io, da giovane ho letto almeno duecento libri, ma questo non è valso ha darmi una formazione culturale, che, invece, si è avuta allorché ho spalancato occhi, orecchie e tutti i sensi, o si sono spalancati da sé. Auguro ai giovani di oggi di vivere anche loro la mia esperienza. Loro stanno osservando, stanno immagazzinando, dovranno, poi, tramare il loro studio per iniziare a filosofare». Sulla Sicilia, infine, Manlio Sgalambro esprime il suo pensiero. «Vedo la mia Isola – dice il filosofo – come un luogo che mi trattiene in qualche modo dall’affondare. La vedo come quella cosa all’interno di cui ho ricevuto dei succhi vitali. Non ho un pensiero costante della Sicilia, ma i succhi che ho ricevuto da essa, le energie profonde, mi fanno a volte pensare a questa con affetto e riverenza».