Teoria della canzone

Manlio Sgalambro, Bompiani, Milano, (gennaio) 1997

La sfida, in filosofia della musica, non nasce dal confronto sdegnato tra arie, rondò, lieder e canzonacce… “Ma tra ciò che si pretende eterno e ciò che si sfascia la sera stessa”. Se la cifra di questo secolo è la brevità (intesa come morte dello Spirito e dei suoi attributi “eterni”) solo la canzone riesce a inseguirla e a raggiungerla, essa di brevità se ne intende. Per essere attendibile la “filosofia della nuova musica” deve fondarsi sulla musica cosiddetta leggera: “la musica leggera sarebbe costruita con gli avanzi della musica”, nella Teoria della canzone “non si vuole scaricarla di questi attributi, ma capire perché essa vuole essere proprio così”. La canzone è un occhio puntato contro questo secolo: “come uno gnostico il batterista… punta l’arma e spara direttamente contro il cielo… Dio ci pesta a dovere e noi gli cantiamo in faccia”. Con questo sorprendente “libretto” Sgalambro torna a quel pensare breve in cui è maestro. Aforismi tesi come lucidi plettri di chitarra. La “filosofia della nuova musica” abbandona i polverosi salotti e si butta nella mischia di un concerto rock. Proprio così: leggendo questo libro mi è sembrato di vedere, come durante un’esecuzione di Bach, un elegante signore tra il pubblico fare un cenno a se stesso con la testa, spolverarsi i pantaloni, alzarsi in piedi, e tirare fuori una chitarra elettrica.
— Ottavio Cappellani