Manlio Sgalambro in Immagini e Memorie di Farmacia, a cura di Filippo Pappalardo, Mediterraneum, Catania, (❓) 1997, p. 77
Mio padre1 esercitò la professione di farmacista in un’epoca in cui l’unica verità rimasta era la verità della propria professione. Egli era un vero cavaliere düreriano. Procedeva dritto per i piccoli abissi della vita. Professioni come quella sua, nella visione moderna, erano già professioni sociali. Egli si collocava nella società del suo piccolo paese pieno di idee sociali ma anche di quella sottile disperazione che distingue dall’illuso. Era nato a Lentini nel 1885 e si era laureato a Catania. Aveva aperto la farmacia nel 1911 e qualche anno dopo partecipava alla prima guerra mondiale nella Quarta Armata. Mi raccontava (aveva fatto per i primi anni l’ufficiale di sussistenza, nelle vicinanze della linea del fuoco) di cibo comprato per un battaglione la mattina che invece era diventato un plotone la sera. Era in un punto in cui poteva udire la fucileria del fronte e la fucileria dietro il fronte che fucilava quelli che disertavano. La sua fu dunque, per il resto della vita, la saggezza del fronte. E il suo edonismo, a cui mi iniziava in modo ammonitorio e scherzoso, era l’eredità che poteva trasmettere a un figlio pessimista. Avversato dal fascismo locale, che egli lottava solo professando la sua intelligenza, non gliene volle: amava troppo l’ironia. Morì a 93 anni – viveva con me e fu il nostro sole per i miei figli per mia moglie e per me. E quando morendo mi salutò, con il più garbato commiato da uomo all’antica – «Ti saluto, Manlio» sottolineando con la mano il saluto – scomparve per me qualcosa che non ho poi più saputo definire, tanto il nome di padre, quale lo vivevo io, mi parve così inadeguato per quanto avevo vissuto attraverso di lui.
- Riccardo Sgalambro nato a Lentini nel 1885 e morto a Catania nel 1979.