Le novità di Battiato tra citazioni in greco e video formato Blob

Giacomo Pellicciotti in La Repubblica, 22 ottobre 1996, p. 42

Milano – Franco Battiato cambia tutto e rimane inconfondibilmente se stesso. Cambia casa discografica, impresario, compagni di viaggio e soprattutto musica, ma è sempre Battiato. Anche se adesso è rock a chitarre elettriche disinnescate, è sempre l’ironico, visionario e intelligente creatore di paradossi e verità che sapevamo. Anche in questi “strani giorni” che noi tutti viviamo. L’ultimo, sorprendente album della sua copiosa e già camaleontica discografia si chiama L’imboscata. “Un titolo che non vuol dire niente, l’abbiamo scelto solo perché suonava bene tra la decina di nomi che di solito si mettono insieme per intitolare un disco”. Una riposta così disarmante è già Battiato. Altri suoi colleghi più o meno famosi avrebbero imbastito chissà quale teoria per giustificare L’imboscata. Per esempio, una trappola, un agguato a tradimento per sconcertare l’auditorio. Ma lui no, anche se il nuovo album contiene non poche novità scioccanti al primo ascolto. Anzitutto la batteria rollante di Gavin Harrison e le chitarre suonate da uno specialista come David Rhodes, il fedelissimo di Peter Gabriel. In un primo momento il sofisticato musicista siciliano aveva perfino pensato a un chitarrista più duro, suggestionato da Vernon Reid dei Living Colour e dagli ultimi Smashing Pumpkins. Segno che le intenzioni del cantautore catanese erano ancora più bellicose e “metallare”. Una metamorfosi impensabile per un compositore che, solo un anno fa, ci deliziava con le meditazioni mistico-trascendentali della Messa arcaica. Ma ora Battiato smorza un po’ i toni: “Dopo una vacanza disgraziata in Portogallo, ho capito come per una premonizione che era tempo di voltare pagina. E così ho ripreso dopo tredici anni la chitarra in mano, per scrivere le mie nuove canzoni. È un’innovazione anzitutto timbrica, anche se la chitarra elettrica è usata da sempre nel rock. Ma per me non è comunque una rivoluzione, anche perché non ripeto mai ossessivamente la stessa formula, non ci riesco per costituzione. Il suono elettrico è l’attacco, molto forte anche sul palco. E anche la mia voce muta l’approccio e le tonalità. È un’avventura che, per ora, mi piace molto, mi stimola”. Ed eccolo impegnato a ripetere anche dal vivo, ieri mattina al Rolling Stone di Milano, cinque dei dieci brani de L’imboscata. Sono le canzoni forse più importanti e significative della “nuova era”, che qualcuno troppo frettolosamente vuole avvicinare a La voce del padrone, l’album finora più venduto di Battiato. Nell’ordine: Strani giorni, Di passaggio, … ein tag aus dem leben des kleinen Johannes, La cura, “una delle due o tre sole canzoni d’amore di tutta la mia carriera”, e Segunda-feira, con l’intervento dei personaggi-amici che hanno contribuito alla riuscita del disco: le voci dell’inglese Nicola Walker Smith, di Antonella Ruggiero, Giovanni Lindo Ferretti dei CSI e dell’inseparabile saggio Manlio Sgalambro, che ha citato deliziosamente Eraclito e Callimaco in greco antico e ha scritto i testi colto-immaginosi di tutte le canzoni (solo due sono a quattro mani con Battiato). Assente Rhodes, rimpiazzato da ben due chitarristi, c’erano tutti gli altri, Harrison, Saturnino e gli archi del Nuovo Quartetto Italiano. Altro assente britannico, e si sentiva, era il tecnico Ben Fenner, che da anni distilla alla perfezione il suono di tutte le uscite pubbliche di Franco Battiato. Alla fine è stato proiettato il video di Strani giorni, messo insieme col solito estro pittorico-onirico-blobbista da Enrico Ghezzi. Che ora esce in libreria con un nuovo libro, Cose (mai) dette, e un disco allegato: un compact con una piccola sigla stravagante, regalo dell’amico Franco. Infine, a marzo, Battiato va in tour nei palasport d’Italia, promoter la Trident di Maurizio Salvadori. Un’impresa temeraria mai rischiata prima dall’intrepido protagonista de L’imboscata.