Finetta Guerrera in La Sicilia, 9 agosto 1996, p. 25
Il libro che ha cambiato la vita
Il filosofo Manlio Sgalambro addita ne Il mondo come volontà e rappresentazione il testo chiave della sua vita: «Fu determinante nel darmi l’emozione del filosofare»
La stanza d’angolo al primo piano del vecchio edificio si affaccia sulla piazza Vittorio Emanuele: un osservatorio privilegiato su uno spazio animato e pittoresco che e, a detta di Manlio Sgalambro, come stare in «place des Vosges». A pochi metri di distanza si fronteggiano il negozio di dischi davanti le cui vetrine Sgalambro si attarda volentieri e la libreria di Carmelo Volpe, meta di infinite peregrinazioni dello scrittore. La stanza, non grande, è resa ancora più angusta dalla presenza incombente di due grandi librerie sovraccariche di volumi che giungono fino al soffitto. Impossibile, un po’ per l’altezza a cui sono posti i libri e un po’ per la disposizione a strati, ad accumulo, decifrarne il dorso. Altrettanto indecifrabile, seppure cortese, l’espressione dello scrittore. Noto filosofo, autore di numerosi trattati editi dall’Adelphi, ha raggiunto di recente il consenso di un più vasto pubblico, attraverso la collaborazione con il compositore Franco Battiato per il quale ha scritto il testo dell’opera Il cavaliere dell’intelletto.
Professore Sgalambro, il suo aspetto accigliato le procura una reputazione di persona poco socievole e scostante. C’è qualcosa di voluto in questo, forse una sorta di disgusto per una società, come quella attuale, consumistica e festaiola?
«L’aspetto appartiene alla propria persona: uno ha l’aspetto, per cosi dire, che si merita. Piuttosto, lei ha posto l’accento sul tipo di società qual è quella in cui viviamo. Indubbiamente oggi accade che la cultura sia troppo spesso accoppiata al divertimento».
Accade cioè che la cultura diventi spettacolo. Ma è cosi un po’ per tutto, anche le sventure sono spettacolo, anche la religione, forse. Perché pensa che questo avvenga?
«È un mistero che non intendo risolvere. La cultura, certo, può nascondere sorprese anche amare, perché consente di raggiungere un certo tipo di conoscenza, delle certezze e dei sospetti di verità non del tutto comodi, a volte anche orribili. Tutta la tradizione degli scrittori europei non ha cercato soltanto di divertire, al contrario, ha cercato di mettere in guardia, di stabilire i limiti dell’uomo, far vedere magari le malvagità. Eppure oggi si va ad acquistare un libro per passare i due giorni di ferie, di riposo. Come vede, c’è uno strano accoppiamento, per cui quando uno ha fatto le cose più importanti, allora legge. Questa impronta di festività, di facilità appartiene al nostro tempo, al tentativo di sottrarci a quella riflessione che, se portata troppo avanti, ci disturba, ci rende incerti. Abbiamo insomma bisogno di nasconderci le cose quel tanto che ci renda possibile vivere senza responsabilità conoscitive ed accettiamo di conoscere culturalmente solo quando questo può essere unito al suono di una tromba, o al tutu di una ballerina, insomma ad una festività, a un divertimento».
Come filosofo lei è particolarmente ermetico: le masse evidentemente non la interessano troppo. Come mai?
«Le masse credo non interessino proprio nessuпо».
Ma lei per chi scrive?
«Scrivo per quei pochi che seguono la linea della riflessione, che pensano che la saggezza mentale sia un fine, anzi il fine più dignitoso che abbiamo. Scrivo per quelli che hanno in comune con me questo fine».
Il suo recente connubio con Battiato, che sembra indicare un’apertura diversa alla sua attività, ha sorpreso non pochi. A che cosa si deve questo cambiamento: desiderio di popolarità, bisogno di avvicinarsi a un pubblico giovane, forse guadagni più consistenti?
«Direi che avvengono, nel corso della vita, circostanze, casi, che ti aprono una strada che mai avresti pensato di percorrere, ma che, non appena vi fai qualche passo, vedi che ti dà sensazioni, emozioni nuove, spazi di vita diversi. E in questa diversità chi ha a cuore quei concetti di cui parlavo prima, trova una prospettiva, un’angolazione nuova da cui guardare. Questa collaborazione dà buoni frutti, perché troncarla? Anzi, che anche da noi, come nella cultura francese o tedesca si stabiliscano dei sodalizi, nelle cose dello spirito, dovrebbe far piacere».
Il successo ottenuto da una simile iniziativa ha suscitato polemiche e invidie. Come accetta, un filosofo, il peso del successo?
«Io non capisco perché mai si dovrebbe inseguire l’insuccesso. La realizzazione del nostro lavoro al meglio, è il risultato che chiunque desidera. Certo, c’è anche il risvolto economico, ma perché io dovrei lodare la santa povertà, quando il denaro mi consente di comprare i libri, di visitare il Louvre, di partecipare insomma al godimento del bello?».
Qual è, fra le sue opere, quella che le è più cara?
«Certo il mio primo libro La morte del sole che mi apri un nuovo spazio: oggi, dopo quattordici anni, ne è uscita la seconda edizione».
C’è stato un libro determinante nella sua vita?
«Posso dire senz’altro di sì: Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer fu determinante nel darmi l’emozione del filosofo. Questa disciplina che avevo già praticato, ma con secchezza in seguito alla lettura di questo libro, mi rivelò sensazioni nuove. Subii, in pratica, uno choc emotivo. Ricordo che lo acquistar nel negozio di musica “Riva”, in piazza Stesicoro nel ’43.
A quel tempo le comunicazioni con il resto dell’Italia erano interrotte e notte tempo alcune barche arrivavano, cariche dei viveri e degli oggetti più svariati che poi finivano collocati, anche casualmente, nei vari negozi. Fu così, che in un negozio di dischi trovai questo libro per me importantissimo».
Oggi che la lettura non sembra più di moda. che strada può scegliere la filosofia per farsi ascoltare?
«Il filosofare fu, nella vecchia Grecia, anzitutto orale. Io penso che, fin quando l’uomo avrà dimestichezza con la riflessione, ci sarà sempre un domandare e un rispondere, e un domandarsi e un rispondersi. Non si leggerà magari più il libro, ma fin che ci sarà un uomo che chiederà, ce ne sarà un altro che gli risponderà. Chiuderemo il cerchio, tornando all’oralità».