Sebastiano Addamo in La Sicilia, 23 luglio 1995, p. 30
Catania, la cultura e l’effimero
Gentile direttore,
voglia scusarmi se torno a inviarle un articolo sotto forma di lettera. Talvolta si ha necessità di scegliere l’interlocutore. Noto, intanto, che Tangentopoli è finita; ma ho l’impressione che i fenomeni di nepotismo, le collusioni tra mafia e politica, che sono stati alla base di Tangentopoli non siano affatto eliminati.
Intanto troviamo la incertezza e la incapacità di decisioni dello Stato, il quale non sappiamo cosa intenda fare nei confronti della Bosnia, nella quale una ferocia tribale sta rischiando di provocare un conflitto assurdo e illogico. La decisione l’hanno presa quelli della Greenpeace che fanno baccano per il pericolo atomico, anche se nulla vieta di pensare che tutto si trasformi in una gitarella in lontani mari.
Io tuttavia intendo parlarle di Catania e delle sue notti che l’amministrazione del sindaco Bianco cerca di rendere gradevoli fino alla gaiezza. Ma i catanesi assorbono tutto: la frivolezza di un pasto in piazza e la pesantezza di una conversazione culta in mezzo a danze di dervisci e a ritmi rituali. Tutto serve al consumo di massa anche se esso possa essere scambiato per democrazia. Gli occhi dei presenti sono lo stesso gongolanti davanti alla Sonnambula di Bellini e davanti al Socrate impazzito di Sgalambro. Tutto diventa commestibile.
In queste torride notti catanesi si può impazzire di meno. Tuttavia è certo che è preoccupante per un cittadino di Catania trovarsi all’improvviso tra capo e collo qualcuno che parli sui «dilemmi attuali del Cristianesimo» per di più con una introduzione di Sgalambro. È la dottrina della educazione permanente per cui la scuola dura tutta la vita, un po’ come quella che predicava il filosofo Tommaso Campanella, il quale uscito dal carcere dove aveva languito per diversi anni, cercò di portare una sua Pedagogia, nella quale ogni rivoluzione è destinata a concludersi: così i ragazzi, usciti da scuola, trovavano le mura cintarie della città istoriate e affrescate di storie patrie. E adesso i cittadini catanesi trovano nelle torride nottate estive il musico e il filosofo che li aspettano al varco: perché sottilmente si sta volendo allietare la gente che dopo il lavoro ha bisogno di distendersi: troveranno al varco il filosofo e il musico che vogliono mantenere alta la tensione.
Avviene come al tempo del dispotismo illuminato: tutto per il popolo ma nulla con il popolo. È necessario costringere la gente a educarsi: perciò si diffondono musiche non per i piedi, bensì per le anime; e anche le parole seguono la musica: tutto diventa alto, solenne, importante.
Quel che occorre è che la gente si diverta, la città sopporti le spese dell’organizzazione, purché la cultura vada avanti e con essa lo spirito dell’uomo. In pratica lo spirito di Battiato e di Sgalambro.