Felice Modica in Il Giornale, 18 luglio 1995, p. 17
John Steinbeck, in Viaggio con Charley parlava di sé con il barbone «Charles le chien», «cane di prima categoria». Giuseppe Berto, invece, confidava le sue malinconiche e inascoltate riflessioni allo spaniel Cokai, in Colloqui col cane.
Non sembri irriverente il paragone, ma la stessa cosa fa oggi Manlio Sgalambro col suo fulmineo Dialogo sul comunismo (De Martinis & C.). Con la differenza che il filosofo, piuttosto che un cane, sceglie un amico, come «spalla» in questa breve ma intensa cavalcata metafisica. Un amico che indossa i panni dell’«avvocato del diavolo», fingendo d’opporre le ragioni della «pietas» a quelle della Filosofia (con la maiuscola), salvo capitolare infilzato come un tordo dagli strali avvelenati del filosofo. Un amico che – diciamolo francamente – è lo Sgalambro – buono, dolciastro, caritatevole», che mai conosceremo.
Il comunismo di cui qui si parla, nulla ha a che fare col materialismo storico e la dittatura del proletariato, svolgendosi l’intero dialogo nei cieli rarefatti della metafisica. Anzi, di povertà, ingiustizia, disuguaglianza, l’autore non si cura affatto, ben sapendo, con Malebranche, che «due uomini non possono nutrirsi d’uno stesso frutto, o abbracciare uno stesso corpo, che cioè non può esservi, letteralmente, comunismo dei beni materiali. Il comunismo e invece il rifiuto delle disparità ontologiche e metafisiche, non certo il vano tentativo di eliminare, le disparità sociali. Con echi spengleriani, Sgalambro vi scorge l’approdo inevitabile del pessimismo occidentale, uno stato di uomini che si tengono stretti sull’orlo dell’abisso, come se solo cosi potessero affrontare il pericolo di essere.
Uniti dalla universale contemporaneità della morte, nell’utopia sgalambriana gli uomini vedranno annullate le disuguaglianze «per cui uno è genio e l’altro un parassita dell’essere, ciò per cui uno è buono e l’altro malvagio». Andremmo, dunque, verso una civiltà «guidata dall’idea del tramonto del sistema solare, dai grandi fatti cosmici. dalla morte delle stelle, della temperatura zero, dall’idea del collasso finale».
L’amico, dal terrore per la catastrofe prossima ventura, fa derivare una possibile fratellanza universale basala sulla pietà dell’uno per l’altro. Il filosofo gli oppone la certezza di una comunità di uomini duri e superbi, orientati a imporre un senso alla fine del genere umano che per la loro forte immaginazione anticipatrice e già avvenuta.
Il comunismo «spirituale» di Sgalambro riecheggia dunque i temi trattati dalle stesso autore ne La morte del sole (Adelphi) e. riguardando tutti gli uomini in quanto «morenti e non viventi» pare ancora più terribile della costruzione di Marx e delle sue mostruose incarnazioni storiche.