Una canzone come un’opera di filosofia

Raffaello Carrabini in La Sicilia, 22 marzo 1995, p. 30

MILANO – «Hai davanti un testo e una tastiera. Sei tu e una parola. Sta alla tua abilità estrarre dal mondo sonoro qualcosa di corrispondente a ciò che suggerisce la frase. Tutto l’universo è escluso: e la parola e ciò che la deve vestire e investire». Così Franco Battiato spiega il processo compositivo che lo ha portato a musicare nove liriche del filosofo Manlio Sgalambro. Il disco s’intitola L’ombrello e la macchina da cucire, con un’interpretazione zen della famosa frase-manifesto del surrealismo “Bello come un ombrello e una macchina da cucire sopra un tavolo anatomico”, ed è da oggi nei negozi.
Rigorosamente assimilabile alla produzione più recente del cantautore, cui aggiunge una grossa ricerca sulla strumentazione e sulle linee dell’intepretazione orchestrale vocale, con qualche momento più  immediatamente popolare (L’esistenza di Dio) oppure più intellettualmente sperimentale (Tao) per rispondere alla obliquità dei testi.
«Non m’interessa affatto creare una nuova canzone italiana», afferma il cantautore. «Non mi interessa più scrivere canzoni come quelle degli Anni ’80, che hanno venduto moltissimo e hanno indicato un certo modo di comporre: man mano che vado oltre ho bisogno di rimanere in sintonia con l’allargarsi della mia coscienza. Chi è più avanti nella percezione del mondo è vincente, gli altri, anche se configurano la coscienza collettiva, rappresentano un momento parziale, un modo di vedere limitato».
Canzoni che cercano, con una maniera semplice di trattare elementi assai complessi, che vogliono far pensare («Questa parvenza di vita ha reso antiquato il suicidio»; «Mi tentano paesaggi senza alcuna idea di movimento dove l’immoto echeggia»; «La teologia vi invita, anzi vi impone di immaginare una pietra infinita»).
«Non ritengo ci sia differenza fra le canzoni e le opere di filosofia – aggiunge Sgalambro, il pensatore schopenhaueriano che ha scritto La morte de sole e il Trattato dell’empietà – perché di noi non resteranno comunque che pochi frammenti di tre o quattro parole, nulla più. È una specie di gioco superiore cui mi piace partecipare in vario modo, lasciando le più diverse possibilità di scelta a chi la effettuerà».
«Ma anche pochi frammenti di un’opera, come quelli neanche sicuri di Empedocle, possono riconciliare con l’intelligenza cosmica», sottolinea subito Battiato. I due avevano già collaborato per l’opera dedicata a Federico II Il cavaliere dell’intelletto (criticata dai puristi: il maestro Ferro la bollò di “dilettantaggine”), e oggi completano quello che già durante l’estate scorsa, avevano in mente. «Io sento – conclude Sgalambro – la cantabilità del pensare, sia quando scrivo che quando leggo gli altri filosofi a cominciare da Hegel: in questo disco ci sono due tipi di musica che si uniscono».