Pop & filosofia

Giacomo Pellicciotti in La Repubblica, 22 marzo 1995, p. 40

Il musicista presenta il disco L’ombrello e la macchina da cucire

Le nuove canzoni di Battiato parole del professor Sgalambro

Il lavoro, bello e inconsueto, presentato ieri a Milano. Nove i brani: “Non avendo più la responsabilità dei testi, mi sono sentito più libero come musicista”
Il filosofo: “Oggi mi interessa la cantabilità della scrittura”

Milano – Un profano capitato lì per caso avrebbe fatto fatica a capire che si trattava di un disco di canzoni. E invece i tanti invitati, ieri mattina alla conferenza stampa di Franco Battiato, si trovavano nel salone damascato di un grande albergo milanese proprio per celebrare l’uscita dell’album L’ombrello e la macchina da cucire, ultima sensazionale raccolta di nove brani dell’eccentrico musicista siciliano. Entrando nella sala affollata, si restava colpiti dalla serietà dei discorsi, e questo non è certo una novità per i seguaci di Battiato. Ma c’era accanto a lui un signore coi capelli bianchi che ispirava rispetto e che, con la sua retorica di belle e antiche letture, condizionava non poco il clima riflessivo e intellettuale della conversazione. Manlio Sgalambro ha settant’anni, l’eloquio facile e un’ironia da scettico blu che incanta.
È un filosofo, uno dei più conosciuti di oggi. Siciliano di Lentini, ma vive a Catania, ha già collaborato con Battiato l’estate scorsa per l’opera su Federico II Il cavaliere dell’intelletto. E ora, stimolato dal musicista etneo, firma anche tutti i testi di L’ombrello e la macchina da cucire. Versi che trasudano cultura, ma stimolano anche l’immaginazione dei profani e si rivelano straordinariamente musicali. Finora Battiato cantautore aveva usato con molta parsimonia i versi di altri: si ricordano i casi pressoché isolati di Fleur Jaeggy, Juri Camisasca e Angelo Arioli. Ma non era mai successo che il Battiato paroliere abdicasse completamente a favore di un anziano filosofo. «Sono stati proprio i testi di Sgalambro che mi hanno spinto a fare il disco. E questo mi ha dato molta libertà». Battiato non lesina complimenti al suo compagno di banco, e spiega: «Non avendo più la responsabilità delle parole, mi sono sentito più libero come musicista».
Un album quasi tutto fatto in casa, a Catania, nel nuovo studio dell’Ottava messo su dal londinese Benedict Fenner. Ma Battiato rifiuta un po’ seccato l’etichetta del tecno-pop: «È difficile che entri nel linguaggio pop corrente. Il pop lo faccio già io, e non ho bisogno di citare altri artisti pop». Ma in fondo di musica si parla poco, si è più attratti dalle idee. E molte delle domande più curiose sono per Manlio Sgalambro. Professore, non le fa impressione di rischiare di passare alla storia forse più per un disco che per un libro? Si schermisce Sgalambro: «Dei presocratici rimangono pochi frammenti e chissà se di noi resteranno anche quelle poche tracce, io non credo». Ma Battiato è più possibilista: «Sui frammenti di Empedocle ho delirato. Mi hanno riconciliato con l’intelligenza cosmica».
Sgalambro non mostra lo stesso ottimismo: «Se qualche frammento resterà, non m’importa che sia il migliore. L’importante è che qualcosa resti, ma chissà. Oggi m’interessa molto la cantabilità della scrittura, anche Hegel ha una scrittura molto sonora. Da ragazzo pensavo di scrivere un libro con la musica dentro. Fin da bambino, ero già un discepolo di Schopenhauer, e volevo che nel mezzo del mio scritto, campeggiasse una bella partitura». Un sogno avverato dunque? «Le emozioni non ce l’ho più, non mi palpita più il cuore, non avvampo, sto come sto. Certo all’inizio mi esaltava l’idea che un testo di filosofia potesse essere ripreso da un coro e amplificato, sublimato d’importanza. È la passione di un vecchio provinciale. E quando questo avviene, un po’ mi emoziono, devo dire».
Battiato parla anche di un brano dell’album in particolare: «Il lavoro che ho fatto su Tao è solo l’inizio di un mio sviluppo compositivo che spero stimolante. E da lì che possono nascere nuove prospettive». Ma il venerabile Sgalambro all’uscita borbotta: «Che strano, nessuna vera domanda sul disco, che poi è la cosa più importante».