La musica? Prendila con filosofia

Gloria Pozzi in Corriere della Sera, 22 marzo 1995, p. 36

Personaggi. Il nuovo disco del compositore rafforza un sodalizio nato con l’opera su Federico II

Battiato e Sgalambro, strana coppia per la canzone italiana

Due siciliani solitari uniti da L’ombrello e la macchina da cucire. Franco: mai sentito così libero. Lo studioso: anche Hegel è sonoro

Sono tutte e due solitari. Tutte e due sono raffinati, trascendenti, eleganti, colti, ironici. E tutte e due sono siciliani. Uno è musicista per talento e vocazione, l’altro è filosofo che conosce il fascino della sonorità convinto com’è della «cantabilità del pensiero». I destini di Franco Battiato e di Manlio Sgalambro si incrociano per la seconda volta: dopo l’opera Il cavaliere dell’Intelletto (dedicata a Federico II), il disco di nove canzoni L’ombrello e la macchina da cucire (titolo tratto dai Canti di Maldoror del conte di Lautréamont, mito dei surrealisti).
È la prima volta che Battiato interpreta canzoni con versi scritti da qualcun altro. Condizione che gli ha fatto sperimentare la totale libertà: «Proprio perché non ho avuto la responsabilità dei testi. mi sono sentito libero come musicista. Molti di quelli che hanno già ascoltato il disco m’hanno detto che “suona” innovativo: l’innovazione musicale è determinata dai testi», dice.
Se Battiato ha trovato la libertà. Sgalambro che cosa ha ricavato dalla collaborazione? «Non ho cambiato la mia direzione. Da sempre scrivendo “sento” la sonorità delle parole. E ritengo cantabile come una canzone la Fenomenologia dello spirito di Hegel. Nella canzone confluisce l’essenza della musica, che sennò è pura accademia. In questo disco convogliano, se Battiato me lo permette, la sua musica e la mia», risponde il settantunenne filosofo, autore di La morte del sole e Trattato dell’empietà. Rivela il suo sogno di bambino: «Scrivere un libro come Schopenhauer ma inserendovi una partitura».
Si ascoltano divertendosi, si cedono la parola con leggera deferenza. Chi è il narcisista tra i due? «Io, naturalmente», sostiene Battiato. A che tribù appartengono? «Noi i branchi non li sopportiamo», assicura ancora il musicista. Presto si scopre che c’è almeno una cosa che li separa: il jazz. Sgaambro lo ama. Battiato non lo sopporta. «Nell’ascolto, mi sono fermato lì», dice il filosofo. «Non mi interessa perché non mi piace l’uomo che soffre e che lo fa vedere. Mai ho cantato e canterei le miserie della mia vita», dice il musicista cantante.
All’hit parade Battiato è avvezzo e i problemi legati alla commercializzazione non lo toccano proprio. «Faccio questo mestiere per puro divertimento. Mi interessa l’allargamento della mia coscienza». Ma Sgalambro, che rigioisce perché la società ha recuperato «oralità, vocalità, sonorità», come si sente adesso che rischia di passare alla storia come autore di canzoni e non di pamphlet filosofici? «Non mi palpita il cuore, non divampo per l’emozione. Essere ricordati per tre parole di una canzone o per tre parole di un libro, che importa. Siamo presocratici viventi. Sto nel mondo come un piccolo guerriero. Ma, devo ammetterlo, l’idea un po’ mi diverte».
Sull’onda del disco, andrà in tour, professor Sgalambro? «No, non temete». «E neanche io», gli fa eco Battiato.