Battiato: «Che piacere cantare la filosofia di Sgalambro»

Leonardo Gorra in Il Messaggero, 22 marzo 1995, p. 19

Affinità elettive / L’ombrello e la macchina da cucire, un disco del musicista con i testi del pensatore catanese

Dopo Federico Il di Svevia, questa volta è il poeta francese Lautréamont a far incontrare Franco Battiato e il filosofo Manlio Sgalambro. Dai suoi Canti di Maldoror è tratto il verso L’ombrello e la macchina da cucire che dà il titolo al nuovo disco del musicista siciliano, nove canzoni i cui testi Sgalambro ha offerto a Battiato per sperimentare la “cantabilità” dei concetti.
Il settantenne filosofo catanese insiste molto sulla cantabilità intrinseca di certe pagine filosofiche: «Ad esempio, la Fenomenologia dello spirito di Hegel è piena di canzoni. Hegel scrive sonoro e c’è un elemento di sonorità in quello che io scrivo: il pensiero può cantare e si può cantare, soprattutto oggi. La nostra epoca è permeata di oralità, di vocalità e l’espressione musicale è quella che meglio la interpreta. Addirittura: se la teoria oggi ha una prassi attualizzabile, questa è la musica, anzi le canzoni». E Battiato: «In questa esperienza della filosofia fatta canzone confluisce lo spirito vero della musica. Il resto è accademia e l’accademia non mi interessa».
Certo, però, che una contaminazione simile può sembrare singolare… «Al contrario: il fatto è che è crollata la separazione dei generi perché i generi stessi sono crollati», spiega Battiato. E Sgalambro aggiunge: «La nostra società si esprime cantando, nel senso che il canto si presenta come momento festivo. Ora, questa festività generalizzata viene espressa con una gamma di generi molto più ampia rispetto a quando le canzoni erano solo canzonette. La sonorità è – credo – l’elemento caratterizzante del nostro tempo».
Giusto un anno fa, al tempo in cui Sgalambro e Battiato lavoravano sull’opera Il cavaliere dell’Intelletto, un piccolo editore siciliano, De Martinis e C., pubblicava un pamphlet del filosofo intitolato Contro la musica: dov’è, se c’è, la contraddizione? «Quello è un testo provocatorio in cui esprimo non la condanna della musica, evidentemente, ma il mio ethos dell’ascolto. lo sono un europeo colto che frequenta la musica del suo tempo con grande ampiezza di ascolto, dal jazz a John Cage: quindi “contro” significa mettere in luce gli aspetti sociali della musica. E poi, non prendetemi alla lettera: i filosofi amano scrivere secondo percorsi non rettilinei né perfettamente circolari, ma liberi…».
La musica, o meglio le musiche, quindi come colonna sonora del nostro tempo: «Esattamente. Oggi lo sappiamo: la musica è dappertutto e noi andiamo a cercarla. Riprendiamo l’esempio di Hegel: la cantabilità del pensiero esiste e si manifesta con sonorità congenite al pensiero stesso». Ne è una prova il lungo recitativo in tedesco che conclude l’ultimo brano del disco, L’esistenza di Dio: è la traduzione di un brano del Trattato dell’empietà (pubblicato da Adelphi). Il recitativo evoca un’atmosfera sonora di calma, di rarefatta sospensione: «L’uso della lingua tedesca è funzionale al senso che volevo dare al brano, un po’ come era per la lingua latina nelle funzioni religiose: nessuno capiva il senso delle parole, ma tutti ne coglievano la solennità sacrale. La lingua instaura un’espressione pura, in tanto pura in quanto priva di comunicazione».
Sorride, Sgalambro, sentendosi definire “quasi una rock star”, ma certo sentire i suoi concetti divenire canzone deve fare un effetto non comune: «Tutt’altro. Da ragazzo volevo scrivere un libro, molto schopenhaueriano, con dentro una partitura musicale. Il concetto da me espresso con la parola, una volta che la musica lo riprende, viene come rilanciato e amplificato, ma al tempo stesso reso più essenziale». E poi una confessione: «Io vivo la filosofia con la passione di un provinciale che si esalta quando vede che qualcosa di bello accade alla filosofia. Mi commuovo e mi emoziono».
Non meno commovente, in questo senso, il percorso creativo di Battiato, che si è trovato di fronte a testi compiuti, “chiusi”. Spiega il musicista: «C’è un testo, una tastiera e tu. La tua abilità è estrarre da una parola, o evocare, il mondo sonoro che quella parola, quella frase sanno stimolare. La musica deve vestire/investire una parola. Io faccio questo mestiere per puro divertimento e il disco è nato solo dalla capacità di coinvolgimento che questi testi hanno saputo darmi».
Concetti filosofici per le parole, ricerca e sperimentazione esasperate per la musica: non c’è il rischio di non venir capito? Battiato risponde senza esitazione: «Ho instaurato una relazione stretta con chi segue il mio lavoro, quindi posso non preoccuparmi di venir frainteso. Per esempio, non sento affatto come un limite la natura di “frammento” dei testi di Sgalambro: su alcuni frammenti di Empedocle ho delirato, a volte una frase spezzata è riuscita a farmi sperare, mi ha riconciliato con l’intelligenza cosmica». E Sgalambro, a proposito di frammenti: «Qualcosa di noi rimarrà, sia che facciamo grandi opere sia che facciamo canzoni. Noi siamo dei presocratici viventi di cui resteranno frammenti. Casuali? Dietro c’è l’ironia di un gioco superiore, che poi è un gioco di nessuno».