Ferdinando Raffaele in Secolo d’Italia, 8 novembre 1994, p. 15
In un pamphlet di Manlio Sgalambro l’espressione di un sentimento di «indifferenza» per la politica. Pessimismo? No. Il pensatore siciliano coltiva un progetto ambizioso: riaffermare il primato della filosofia
Un testo «anti-politico», l’ultimo di Manlio Sgalambro pubblicato per i tipi della Adelphi (pp. 90, £. 11.000). Anti-politico per definizione. Già dal titolo, Dell’indifferenza in materia di società, e dal suo incipit: «Che “io” debba essere governato: ecco da dove inizia lo scandalo della politica. Solo per canaglie e miserabili, incapaci di autogovernarsi e decidere, c’è la politica come unica via di scampo». Sembrerebbe di sentir parlare uno dei tanti esponenti dell’antiparlamentarismo dello scorso secolo. Di quelli che sputavano fuoco e fiamme contro democrazia e socialismo, prefigurandovi l’opera demoniaca della distruzione del mondo, per mano di uomini che avevano perso il senso del limite e della realtà.
Ma quella parola, «indifferenza», che sta lì, in mezzo al titolo, mette subito in guardia il lettore. Perché un «reazionario» può sì odiare visceralmente la società, il mondo in cui vive. Detestarne gli uomini, specie i capi. Mai, però, esserne «indifferente». E sbaglierà, dunque, chi voglia vedervi una semplice invettiva antidemocratica, magari un po’ snob. Oppure una provocazione intellettuale abilmente confezionata da casa Adelphi.
Un semplice pretesto
Il pamphlet di Sgalambro rappresenta, invece, la cifra di un intero corpus di pensiero, che l’autore è andato articolando lungo l’arco della sua produzione filosofica. Resa esplicita dalla forma a tratti autobiografica che la sua scrittura assume: quasi dialogo con un ipotetico interlocutore, sul quale sparare quelle idee indigeribili ai più e che spetta, sacrificalmente, al filosofo manifestare.
La politica diviene, allora, pretesto non casuale, occasione di scavo profondo nei confronti di ciò che è indicato con il nome, molto sgradito a Sgalambro, di «società». Rispetto a cui si dispiega l’indifferenza, qualità aristocratica e differenziatrice, assolutamente inconciliabile con lo spirito politico: «Non trascorre ora senza che tu veda malati, poveri, miseri di tutti i generi. Lasciali ai loro mali, tu ti imponi. Così volle la sorte. Passa oltre. È invece qui che corre il politico, qui c’è pane per i suoi denti. Un poveraccio, che festa! Dove c’è un lamento, c’è lui. Dove c’è un uomo perfetto egli se la squaglia».
Si noterà, infatti, che lungo tutte le pagine dell’opera la politica viene disprezzata proprio per ciò che al giorno d’oggi la fa esaltare: lo spirito di servizio e la ricerca del bene comune. Con affermazioni che pesano come macigni. Mentre sui cardini della convivenza civile si spande come acido corrodente la parola del filosofo. Che tutto nullifica. Dalla famiglia alla casa d’abitazione, dall’amore ai sentimenti di pietà e solidarietà.
Sgalambro nella ricerca di una verità assoluta incontra nei legami del vivere sociale un elemento inesorabilmente ostile, per intrinseca natura: «Essendo la verità qualcosa che non si può migliorare e la politica qualcosa la cui essenza è proprio questa: migliorare tutto ciò che tocca». L’opinabile, fondamento della prassi politica, finisce con l’insidiare il posto che spetta alla verità, oggigiorno sempre meno percepibile. Donde la non-redimibilità, secondo Sgalambro, di ciò che è politico, descritto come espressione di ogni stupidità negazione delle migliori forme di pensiero. Quindi irrimediabilmente avverso alla filosofia.
Ed appunto intorno a tale conflitto visto in tutte le sue premesse e conseguenze, si articolano i capitoli che compongono il pamphlet. Per certi versi vero atto d’accusa nei confronti del pensiero filosofico ottocentesco e novecentesco (i cui rappresentanti più emblematici vengono individuati in Hegel ed Heidegger) riflesso di una temperie culturale opaca, soggiacente allo spirito politico.
Al contrario, spetta alla filosofia il compito di incarnare l’apice del ciclo umano: «Io sono convinto che la specie umana si conclude nel filosofo. In colui che unicamente è capace di trarre tutte le sue conseguenze dell’“io sono” e di “costringere gli altri a trarle”». Conseguenze che rappresentano, per il filosofo Sgalambro, il disvelamento di una verità coincidente in ultima istanza con la morte. Unico momento dell’esistenza umana non soggetto all’opinabilità e dunque alla politica.
Il luciferino «non serviam»
Si è, tirando le somme, di fronte ad una visione nullificatrice che spazza via qualsivoglia forma di attaccamento pratico alla vita, sia essa utopia o conservazione, e che sembra riecheggiare il luciferino non serviam lasciando all’indifferenza il compito di rendere conto della presenza degli altri. Quell’indifferenza che finisce con il costituire l’unico parametro relazionale fra l’uomo, meglio dire l’uomo filosofico, e ciò che lo circonda: «La mia indifferenza al sociale è la mia ultima offerta alla verità, che non venero ma alla quale sono legato dai miei voti. […] Devo dire, infine, che io considero “uomo”, nell’accezione più confacente all’idea che ne ho, l’uomo emancipato dalla società e dagli altri».