Ferdinando Raffaele in Secolo d’Italia, 29 settembre 1994, p. 8
Un pamphlet di Sgalambro
Tassello di un ampio e complesso mosaico di pensiero, quello di Manlio Sgalambro, il pamphlet Contro la musica (De Martinis & C., Catania, pp. 149, L. 10.000) ne costituisce un elemento significativamente rivelativo, oltre ad offrire un illuminante, e senz’altro inusuale, punto di vista sulla musica.
Sgalambro, con il suo scritto, letteralmente aggredisce qualcosa che, nella sua evanescenza, è ritenuto indispensabile alla vita dell’uomo. Dalla sua primordialità. E lo fa con tanta foga da far sentire, quasi, il bisogno della sua pre-senza, poiché l’ascolto – quello che l’autore ritiene essere l’unico veramente possibile – rende chi vi perviene realmente partecipe della comprensione del mondo.
Di qui il sottotitolo, quantomai emblematico: Sull’ethos dell’ascolto.
Il filosofo affronta la materia del suo argomentare con la volontà di graffiare le orecchie del lettore «medio», quello stesso che normalmente inorridirebbe ascoltando per la prima volta, ad esempio, una composizione musicale di Schönberg.
Già dalla citazione posta ad apertura di libro, tratta dal libello del filosofo scettico Sesto Empirico, Contro i musici: «La musica non possiede alcun potere particolare, è inutile, non reca felicità né affina il gusto. Colui che sostiene il contrario si fonda solo su pregiudizi, dogmi, superstizioni ed errori».
In un un’epoca nella quale è frequente la ricerca della provocazione gratuita, costi quel che costi, un titolo del genere sembrerebbe un ossequio alla moda imperante, un espediente per catturare l’attenzione di qualche lettore. Basta però scorrere le prime righe del testo per rendersi conto di quali siano gli intendimenti dell’autore: «Contro la musica: il significato dev’essere inteso. Non è una volgare polemica che qui s’innesca ma una delicata questione metafisica».
Questione che si configura relativamente all’ethos, alle regole che alla musica occorre siano date. E per ciò stesso questione metafisica. La musica, cioè, in quanto elemento strettamente connaturato al mondo, finisce per mascherarne la sua essenzialità, facendo sì che non lo si percepisca in profondità; essa «blocca il rigurgito che abbiamo per l’esistenza e se la fa con ciò che potremmo chiamare, forzando le cose, malvagità in sé. (…) Procurare disgrazie ai mondo, questo dovrebbe fare l’arte. La musica dovrebbe farci rimpiangere che ci sia un mondo. Dovrebbe cioè essere rinunzia, rinunzia completa».
Sgalambro è dunque «contro la musica» in quanto forma geniale di travestimento di un mondo che, secondo il filosofo, non merita affatto l’esistenza, donde l’immagine quantomai esplicativa della musica quale reclame dell’esistente: «Come è bello il mondo! Tre al prezzo di due. Il carattere reclamistico della musica è occultato dal suo stesso uso reclamistico. Ma dietro le pappine per neonati che la musica accompagna per mano al mercato, spicca la pubblicità per il mondo. L’oggetto che la musica riesce a far vendere di più, la cosa più pregiata, è il mondo che invece, a detta degli esperti, non vale neanche una cicса».
Rispetto ad una siffatta concezione della realtà, e della musica che ne è espressione, ben si comprende come non vi siano differenze fra musica e musica, musica d’arte e musica da stadio, musica colta e volgare. Tutto, ogni genere, senza distinzioni di ruolo, concorre a coprire quella che è, secondo l’autore, la negatività dell’esistenza del mondo.
Anzi, il fuggire il mondo tramite la musica, secondo diffuse mitologie, non rappresenta altro che pura illusione e raffigura, semmai, una grande, sonora risata sarcastica alle spalle di tutti gli uomini.
Occorre, in quest’ottica, distinguere fra musica ed ascolto e, a sua volta, tra suono ascoltato – determinato nella ricezione dall’ascolto stesso – e, invece, ascolto rinnovato, il vero e salvifico ascolto: l’ascolto sottoposto all’ethos. L’ascolto che conduce all’eternità del nulla.
È quello di Sgalambro, un percorso argomentativo che mostra l’occasionalità della scelta della musica a proprio oggetto d’indagine.
In realtà, il discorso potrebbe essere esteso ad ogni forma d’arte, a tutto ciò che presenta un qualsiasi contenuto estetico. La questione musica si rivela una generale figurazione dell’arte, l’architrave di un sistema estetico: «Ascolta la musica e poi dalle fuoco. Questo dovrebbe essere anzi il giusto rapporto con l’arte in generale. Affinché non si affermi e cosi non dia una mano al mondo (…). Ogni opera deve assumersi il proprio naufragio, come sorte. Esistere un momento e poi via! Questo è l’ethos dell’opera d’arte quanta più è la sua grandezza».
Nel parlare della musica Sgalambro afferma quello che deve essere il ruolo del filosofo della nostra contemporaneità: un testimone della fine del mondo.
Colui che dispiega al massimo grado l’essenza nichilistica della modernità; colui che non vuole più distruggere il mondo per crearne uno nuovo e migliore, bensì vuole assistere alla sua distruzione, e basta.
Una posizione paradigmatica rispetto a ciò che predomina nella cultura odierna e che per la sua complessità e problematicità merita attenzione anche, e forse soprattutto, da parte di chi non vi si rispecchia.
Una posizione che trova il suo suggello nelle parole poste a conclusione: del libro: «Chi ascolta veramente, ascolta l’ascolto. Chi ascolta veramente, ascolta la fine del mondo».