Pierluigi Battista in Tutto Libri (suppl. di La Stampa), 17 settembre 1994, p. 1
Milano – Allora, professor Salvatore Veca, come ci si sente un po’ «folli» e «immaturi»?
«Prego?».
Sgalambro scrive che chi auspica una «società giusta» è appunto «folle» e «immaturo». E risulta che lei nel 1982 ha scritto un libro intitolato, guarda un po’, La società giusta.
«Confesso che Sgalambro faccio fatica a leggerlo. E a capirlo. Però lo apprezzo molto come filosofo “correttivo”».
Correttivo?
«Nel senso di quei filosofi che costringono a “correggere” le opinioni comuni e ordinarie, che inducono a riflettere sulla bontà di una tesi data per scontata e che invece scontata non è. Ben venga Sgalambro, dunque. E tuttavia continuo a ritenere ragionevole, plausibile, argomentabile l’idea che nella società le cose possono andare in modo diverso».
Progetto «folle» e «immaturo»?
«Di più. Dal punto di vista di Sgalambro ogni pensiero rivolto a modificare le regole che governano una società appare di necessità patetico e grottesco. Lui in fondo crede che la società sia un destino, una prigione dell’essere da cui non è possibile scappare. Crede alla società come entità immodificabile, come cosa naturale. E come se dicesse: migliorare le regole sociali è tanto folle quanto volersi liberare dalla legge di gravità. Progetto folle. Patetico appunto. Patetico schiodarsi dalla condizione umana. Ridicolo pretendere di volare. Ma io non sono d’accordo. Sgalambro avanza una tesi metafisica. Io continuo a ritenere che la società sia un impasto di natura e di artificio. E che se non si può sfidare la natura, qualcosa si può pur fare sul versante dell’artificio».
Sarebbe a dire?
«Sarebbe a dire che la politica non deve porsi l’obiettivo di cambiare la “condizione umana”. Questo sì che sarebbe un progetto “folle”. Ma cambiare le regole sì: cosi come sono stipulate, così le puoi rinegoziare. Un’azione circoscritta e limitata, per carità. Ma capisco che Sgalambro se ne possa irritare: lui è convinto di conoscere la verità del mondo. Sarà».