«L’orgoglio d’essere siciliani»

Maria Ausilia Boemi in La Sicilia, 1° luglio 1994, p. 33

Editoria

Fortunata De Martinis, manager con una passione sfrenata: l’editoria

Da due anni opera nel settore con un compagno d’avventura d’eccezione come il filosofo Manlio Sgalambro. «Un’unica parola d’ordine: scelte di qualità»

Catania – Fortunata di nome e di fatto. È, appunto, Fortunata De Martinis, tre figli, nonna da pochissimo, una vasta cultura alle spalle: non ama essere definita una «donna manager» (anche se di fatto lo è) e la propria fortuna ha deciso di costruirsela da sé, con il coraggio di rimettersi in discussione e di tornare rischiare, pur avendo già avviato una solida attività (una libreria). E due anni fa, insieme con altri quattro «temerari» (un nome soltanto tra gli altri: il filosofo Manlio Sgalambro) ha intrapreso una avventura editoriale (un gesto «controcorrente» in momenti come questi di «crisi libraria») fondando una casa editrice: la De Martinis, appunto. Tredici i libri pubblicati in questi due anni, divisi in tre collane: la narrativa (dedicata al Mediterraneo: tra gli autori pubblicati figurano un serbo, un egiziano, un ebreo marocchino e un tunisino) e la saggistica a sua volta divisa in due filoni: i «Saggi» e i «Caratteri». La parola d’ordine è sempre la stessa: scelte di qualità, magari su autori sconosciuti in Italia. Una scelta che sta premiando la casa editrice (i soci adesso sono diventati otto e la De Martinis ha più volte ottenuto giudizi lusinghieri sulla stampa).

Signora De Martinis, cosa l’ha spinta a tentare questa avventura?
«Sicuramente l’interesse per i libri e l’incontro con amici con i quali discutevamo di libri. Ecco, ora continuiamo a discutere, anche se forse, essendo caricati di responsabilità, ci divertiamo un po’ meno».

L’editoria in Sicilia è cambiata negli ultimi anni?
«Esistono dei forti movimenti in tutti i campi e credo che l’editoria debba cercare di anticipare ciò che accade. Non so se l’editoria siciliana stia facendo ciò, ma in realtà questo è un problema universale e non solo della nostra isola».

Si legge poco e si scrive molto…
«Sì, l’editoria è in crisi, gli italiani leggono poco. Contribuisce a ciò la crisi economica (i libri sono considerati ‘inutili’ e sono tra le prime spese ad essere tagliate), ma una buona dose di colpa si deve attribuire anche alle case editrici che hanno inondato i lettori di una valanga di libri di poco spessore, libri ‘usa e getta’. In Europa, invece, questa crisi non c’è stata».

Come mai?
«Non saprei: gli italiani forse hanno la certezza della loro storia, oppure è colpa semplicemente di un sistema scolastico che non educa alla lettura».

Da un punto di vista culturale, la Sicilia ha un respiro europeo o è ancora «provinciale»?
«Paradossalmente, nel sud l’idea di Europa è più radicata rispetto al nord, mentre l’idea della ‘mediterraneità’ è più nordica. La nostra collana narrativa si occupa di Mediterraneo, eppure in Sicilia vendiamo molto di più la saggistica che la narrativa. Basti pensare che il 45% del nostro fatturato proviene dalla Lombardia: forse li c’è una maggiore curiosità…».

Come si conciliano, secondo lei, la cultura mediterranea e quella europea?
«Chi vive nel Mediterraneo non può non proiettarsi nel bagaglio culturale europeo e viceversa. Queste due culture non possono fare a meno l’una dell’altra, anche se in verità oggi l’Europa produce cose meno interessanti. Una cosa strana è che l’Italia, Paese mediterraneo per eccellenza, si è occupata meno degli altri Paesi europei di Mediterraneo».

Come mai?
«Forse perché cercavamo una identificazione più gratificante: da sempre in Italia il nord è stato sinonimo di ricchezza e di precisione, mentre il sud (e quindi il Mediterraneo) significava povertà».

Lei è una donna manager in Sicilia: ha incontrato difficoltà «ambientali»?
«Non mi piace la definizione di donna manager: sono una donna che fa cose che le piace fare. Per la mia esperienza personale, non ho incontrato particolari difficoltà, se non quelle normali di qualsiasi donna: è molto faticoso, infatti, conciliare il lavoro con la famiglia».

La mentalità manageriale europea è diversa da quella siciliana?
«Diciamo che è diverso l’ambiente, è diverso anche il clima, c’è meno puntualità. Ma soprattutto manca la mentalità dell’investimento nel lungo periodo, che è poi quello veramente redditizio».

Cosa rimprovererebbe alle case editrici siciliane?
«Forse il fare poco editoria in senso vero: molte si dedicano esclusivamente ad argomenti siciliani, poche pubblicano di tutto».

Che collocazione ha l’editoria siciliana nel quadro europeo?
«Non saprei, direi che l’Italia non ha una buona collocazione (si sfornano troppi libri ‘usa e getta’). La crisi, comunque, sta servendo: si punta maggiormente alla qualità, si ripubblicano molti classici. Ma non basta: essere editori vuol dire anche sapere rischiare».

Ed e quello che fate voi: proponete sconosciuti in Italia. Ma nel vostro catalogo non c’è nemmeno un autore siciliano: come mai?
«È vero, stiamo pubblicando autori sconosciuti anche alla critica, ma non solo stranieri: nei ‘Caratteri’ abbiamo pubblicato un volume di un siciliano, Giuseppe Raciti. Di proposte di autori siciliani ne sono arrivate tante, finora non è capitata quella giusta. Le nostre scelte personali sono basate sulla qualità».

Cosa può rilanciare, secondo lei, l’immagine della Sicilia in Europa?
«Fare venire qua le persone, ospitarle e fare loro conoscere lo straordinario connubio che esiste in Sicilia tra Natura e storia di civiltà. Ma soprattutto, essere fieri di ciò che siamo e che abbiamo».