Battiato: «Silenzio!»

Giuseppe Cantarano in L’Unità 2 (suppl. di L’Unità), 6 giugno 1994, p. 9

Cambia musica. Il rito dell’ascolto tra Bloch, Adorno e Fiorello

Il filosofo Sgalambro: no al baccano universale

«In realtà in un ascolto giusto l’ethos impone di ascoltare nei suoni la dissoluzione del mondo. Per un momento esso non c’è più. Chi ascolta veramente, ascolta l’ascolto. Chi ascolta veramente, ascolta la fine del mondo… In musica stat Satana»: sull’inutilità della musica sono stati versati fiumi d’inchiostro. Ma che la sola funzione della musica debba essere quella diabolica di incendiare il mondo per poi incenerirsi in esso, ben pochi, forse, hanno avuto l’empietà di asserirlo. E mai in maniera così implacabile come lo fa in questo suo libretto (Contro la musica. Sull’ethos dell’ascolto, De Martinis e C., pp. 49, lire 10.000) Manlio Sgalambro. Il quale se la prende con il baccano universale dei suoni, che pretende di essere visto, contemplato, osservato. Insomma, la musica, secondo Sgalambro, non si ascolta più: è piuttosto essa che si fa ascoltare. Si fa ascoltare quando fa da sottofondo a una marca di amaro, quando si fa réclame del mondo ed invita a comprare le suo merci: «Com’è bello il mondo! Tre al prezzo di due. L’oggetto che la musica riesce a far vendere di più, la cosa pregiata, è il mondo che invece, a detta degli esperti, non vale una cicca». La musica autentica, secondo Sgalambro, devo farsi ascolto affinché questo la disperda al quattro venti e renda sopportabile la fine. È necessario, pertanto, rinnovare l’ascolto, rintracciare un «ethos» dell’ascolto se si vuole restituire alla musica la sua originaria vocazione escatologica e insieme apocalittica. Con Franco Battiato (che ha appena finito di comporre Il cavaliere dell’intelletto, un’«Opera» per soprano, basso e orchestra su testo di Sgalambro, scritta per celebrare l’ottavo secolo della nascita di Federico Il) abbiamo cercato di esplorare questo libretto di Sgalambro, per cogliere quello che Sgalambro chiama lo «spirito ascetico dell’ascolto».

«Io ascolto la musica». O forse sarebbe più corretto dire «la musica si fa ascoltare da me»? Avete mal pensato a questa sottile differenza? E che cosa c’entra tutto questo con il karaoke, con Fiorello? A farci riflettere su una musica che à diventata altro da puro ascolto, una musica che vuole essere vista, osservata (magari solo come sottofondo a una marca di whisky) ci ha pensato Manlio Sgalambro in un libretto intitolato Contro la musica. Sull’ethos dell’ascolto (Giuseppe Cantarano ne ha discusso con Franco Battiato, autore non solo di «canzonette»). Ma è davvero possibile pensare una musica «in sé», che non sia indirizzata al piacere, al bene, al godimento? È davvero possibile pensare un mondo senza Videomusic, concerti, pubblicità? Un mondo senza quell’«animatore al potere» che è Fiorello? È la musica che «ti» gira intorno, cantava Ivano Fossati. La musica «ti» suona. Oggi ha successo il karaoke ma è cambiato anche l’ascolto dei concerti rock. Prima, negli anni settanta, l’ascolto, anche se collettivo, era personale, implicava un viaggio (anche aiutato dal «fumo»), un migrare da se stessi. Nel karaoke, invece, cantiamo tutti, ma restiamo tutti lì. Non andiamo da nessuna parte.

Il volumetto di Sgalambro ha come esergo l’invettiva di Sesto Empirico contro la musica; o meglio, contro il pregiudizio circa l’inutilità della musica. Battiato, Iniziamo da qui?
«Sesto Empirico, l’Africano, era contro oltre che ai dogmatici, ai matematici e cosi via, anche al sillogismo aristotelico che considerava un circolo vizioso. Mentre rispondo alla sua domanda la mia attenzione ascolta gli impulsi che un genere di pensiero provoca al mio piede destro che simbolicamente scalcerebbe i “funzionari” della musica. Il mio cuore, però, mi suggerisce, creando un circolo vizioso, che altri farebbero lo stesso con me. Questo perfetto equilibrio mi porterebbe al silenzio».

Cosicché, la nostra convorsazione, appena Iniziata, si concludorebbe già qui. Ma cerchiamo di andare oltre. Le chiedo: una musica non asservita socialmente, in realtà cos’è?
«Sgalambro in realtà sostiene che la “filosofia della musica” – Bloch, Adorno… – ne ha considerato solo il ruolo sociale, una ennesima via per una società migliore. Gli stessi effetti sociali di Rousseau: fusione calorosa e lacrime, molte lacrime, dice Sgalambro. Secondo le parole di Rousseau “il piacere di procurare commozione a tante amabili persone…”. C’è invece una musica non asservita, secondo Sgalambro, una musica che si potrebbe chiamare «in sé», che non è indirizzata al “bene”, al “piacere” o al “godimento”, eppure essi sono dati in sovrappiù».

Una musica in sé è una musica, diciamo così, essenziale, che esige una sorta di ascolto ascetico, un «ethos» dell’ascolto, come lo chiama appunto Sgalambro. Invece la musica odierna piuttosto che con l’ascolto avrebbe a che fare con la vista. La musica è diventata spettacolo, messa in scena. Ma è possibile far ritorno a una dimensione etica, spirituale o ascetica dell’ascolto, al di là del puro vedere?
«In questo libro Sgalambro accenna alla dignità della musica di improvvisazione come momento non ripetibile. In effetti mi ricordo che agli inizi degli anni Settanta durante le mie esibizioni nei raduni pop, facevo solo musica d’improvvisazione. A quei tempi, inoltre, poco importava l’aspetto visivo dello spettacolo. Stesi dentro i sacchi a pelo migliaia di spettatori, aiutati dal fumo, iniziavano il «viaggio» seguendo soltanto il suono. I grandi spettacoli anglo-americani, con dispiego di effetti oggi sono soprattutto da «vedere». Sono l’opera lirica contemporanea».

Lei faceva riferimento all’improvvisazione.
«Volevo dire che esiste, ad esempio, una notevole differenza tra il pubblico mediorientale e il nostro. Anni fa assistetti al Cairo a un concerto di una famosa cantante di repertori tradizionali, che in quella serata ignorò completamente. Invece improvvisò, suscitando intensi riscontri emotivi. Questo da noi non è possibile. Se un cantante di successo si permettesse di ignorare il suo repertorio per improvvisare, la gente si sentirebbe truffata. Non accetterebbe insomma niente al di fuori di quello che ha già comprato e che rivuole indietro. In ogni caso, un ascolto autentico è ascolto di tutto l’uomo. Le forme d’arte odierne sono dirette a tutti i sensi».

Ma i sensi sono diventati puri strumenti che nella loro percezione scompongono la dimensione spirituale dell’ascolto. È così?
«Per la musica odierna tutto è strumento, sembra dire Sgalambro, anche l’ascoltatore. Gli antichi maestri indo-iraniani dicevano: è la musica che ti suona.»

Ma se è la musica che «ti» suona, nella sua particolare esperienza di musicista e di compositore, cosa diventa l’ispirazione? Lei, ad esemplo, si chiede mai per chi scrive e per quale ragione lo fa?
«L’ispirazione è il trait-d’union, il messaggero da una terra a un’altra. La nostalgia della Essenza d’origine mi pone nella perenne condizione dell’emigrante. È l’ispirazione che mi acquieta riportandomi la certezza della radice. La ricerca del compositore è la decifrazione dei grandi codici, la sua trasformazione in suono. Costruire in questa realtà una mappa dell’Altra. Per chi o per cosa è irrilevante».

Non del tutto irrilevante, però, se, come scrive Sgalambro, la musica dovrebbe aggiungere disgrazie al mondo, porre in contrasto e in dissidio l’uomo con il mondo.
«L’arte dovrebbe convincerci che il mondo non dev’essere, dice Sgalambro. E, sempre secondo lui, che la musica non dovrebbe illudere. Questa sua battaglia contro l’illusione si può paragonare a quella dei grandi maestri tradizionali. Come per loro, la tecnica è quella di non fare addormentare. La lotta alla meccanicità passa attraverso un furibondo ma quanto mai astuto sistema di pensiero che per via indiretta ottiene gli stessi risultati».

Uno dei quali è sicuramente il silenzio. Anche la sua ricerca musicale è da alcuni anni orientata verso una sorta di ascetismo, di misticismo o, come la chiama Sgalambro, verso una dimensione etica dell’ascolto.
«Il silenzio è una tecnica ascetica, un’ambizione finale. Il silenzio, in definitiva, dovrebbe suonare poco ma così poco da far tacere il suono della circolazione del sangue e del cuore e del sistema nervoso… Portando il corpo e la sua naturale bassezza all’immobilità. Misticismo è prima di tutto arresto del pensiero o, per lo meno, il suo distacco; arresto di ogni movimento emotivo è “non essere in essere”».

Quanto di più lontano, mi sembra, dalla musica odierna che è diventata una colonna sonora planetaria delle «belle merci», come afferma Sgalambro.
«Dietro la pubblicità musicale che indicherebbe, secondo Adorno, una non fatale regressione, Sgalambro afferma che si cela una réclame più totale, quella per il mondo. Essa invita, continua Sgalambro, a comprarne tre al prezzo di due. Non importa, infine, che dietro una sonata di Chopin o di Scarlatti, si faccia viva una marca di pasta o di magliette. Quel che importa è che un buon ascolto prenda la misura al mondo. Ne va dell’onore della musica».

E non, anche, quello del compositore?
«Carl Philipp Emanuel Bach disse un giorno a suo padre Johann Sebastian: “Papà, il tuo stile è troppo vecchio, superato”. ,Wagner alimentava da un lato la passione che Luigi Il di Baviera nutriva per lui, dall’altro usava l’onnipresente Cosima per bloccargli qualsiasi avance… E Stravinskik, a proposito del Pierrot Lunaire di Schönberg: bisognerebbe togliere la voce recitante al disco, cosi gli ululati li farebbe il pubblico. Insomma, i compositori possono essere poca cosa, ma la loro musica è altro».