«Basta con la follia politica!»

Giuseppe Testa in La Sicilia, 26 marzo 1994, p. 7

Elezioni ’94. Le interviste. Gli intellettuali e il voto

Manlio Sgalambro

Il filosofo catanese (nella foto) invoca silenzio: «Il primato della politica sta diventando ossessivo e istupidente, e sia chiaro che non parlo soltanto dell’accidente delle elezioni»
«La nuova Destra? Vedo greggi contrapposte ad altre greggi. La Sinistra? Per coagulare non basta sedersi attorno a un tavolo»

Silenzio, grida il filosofo. Silenzio. Ma non s’illude: «Se qualcuno pensa che il primato della politica, ossessivo e istupidente, verrà meno dopo l’orgia elettorale, sbaglia di grosso. Non finirà. Anzi, continuerà più forte che prima». Manlio Sgalambro parla, come il solito, da un altro pianeta. Lassù, la televisione, ammesso ch’esista, non trasmette a tutte le ore dibattiti e confronti fra gente che si crede investita delle magnifiche sorti  della tribù italica. «Macchinette parlanti – dice – spesso a livelli da osteria».
Su quel pianeta, però, non alligna il disfattismo. Tutt’altro: il filosofo confessa di non aver ancora deciso se e chi votare. «In passato, mi è accaduto di farlo per automatismi acquisiti. Stavolta, vorrei motivare meglio questo mio voto, vorrei sentirci dentro qualcosa di diverso».

Suvvia, professore. lei parla di «pena della politica» in un momento nel quale agli italiani si dà a intendere che nelle loro mani sta, nientepopodimeno, che la fondazione della Seconda Repubblica…

«Veda, io non parlo di queste elezioni. Io parlo della politica da quando la si fa in regimi di democrazia, più o meno imperfetti. Prima dell’Ottantanove, prima della Rivoluzione, la politica era una faccenda di gabinetto. La parola stessa, politica, evocava subito l’idea di congiure, intrighi di corte, fronde… In democrazia, invece, dove più dove meno, succede questo: non si discorre d’altro che di politica. Si sottintende che la politica ti riguarda da vicino, tanto da vicino che può risolvere tutti i tuoi problemi. Così, la politica finisce per assumere la funzione che aveva la religione nel Medioevo. Vale a dire, non lascia più spazio al cittadino per  occuparsi di sé, diventa un’ossessione messianica, escatologica, e finisce per ingoiare tutto il resto. Questo e il penoso della politica».

Lei parla di spazi che la politica ruba. Quali spazi?

«Ho l’impressione che, in questa fase di transizione per la democrazia occidentale, il primato della politica sia sostitutivo, un surrogato di altro. Ci sono altre cose a cui l’uomo può chiedere la spiegazione del proprio destino. La grande borghesia ha coltivato in passato il gusto dell’arte e non certo per riempire di quadri le pareti di casa. Ora, quando sento dire del crollo delle ideologie, poiché il crollo riguarda tanto il marxismo quanto il socialismo, il liberalismo, il cristianesimo, io dico che il collante di tutto questo è stato l’ideologia della politica. Bene, l’ideologia della politica è ancora in piedi, più che mai in piedi, saldamente».

Che cos’è, per lei, l’ideologia della politica e perché sarebbe così nefasta?

«L’ideologia della politica è, per la precisione, il tentativo di trasportare, d’immettere individui nella politica. Questo tentativo e ancora in atto. Eccome. Lo si fa piuttosto malolentieri in ambito di destra, molto più volentieri a sinistra. Ma questo è un altro discorso. Quel che importa è rendersi conto che ciò conduce direttamente a ciò che i francesi chiamavano la “folie de gouverner”. Il governo delle città, per esempio, diventa un fenomeno passionale più che una questione di buona amministrazione. Ecco perché insisto: quel che ci vorrebbe è, invece, una politica ridotta al minimo, all’essen-ziale. Ci vorrebbe il senno e non l’ossessione della politica. Altrimenti, il rischio è che il mezzo s’ingolfi. Il mezzo della politica, dico. Perché dovrebbe essere scontato che la politica è un mezzo e che il fine siamo noi, noi cittadini».

Le questioni da lei sollevate vanno ben oltre l’accidente elettorale. Credo, però, che dovremo egualmente parlarne. Che cosa è davvero in gioco, oggi, in Italia? Che cosa c’è dietro questa “follia di governare” da qualsiasi parte essa provenga? Chi ne è più dominato?

«Se mi sta chiedendo di parlare degli uomini, le risponderò che la natura degli uomini è incriticabile come quella degli alberi».

Veramente parlavo del potere, dei poteri e degli interessi in conflitto in questo momento, di quali poteri e quali interessi possono prevalere a scapito di quali altri…

«Direi che è credibile uno scenario di questo genere. Un assetto di potere si va consolidando per subentrare al posto di un altro. È prevedibile che questo avvenga in un ciclo temporale altrettanto lungo rispetto a quello richiesto dall’assestamento del Sistema ora al tramonto. Sono abbastanza vecchio da ricordare perfettamente gli esordi di quel che oggi si chiama “il vecchio”. Come i “nuovi” di oggi, i “vecchi” di ieri si mostravano impacciati, ingenui o sedicenti tali. Poi, però, gli impacciati e gli ingenui misero in piedi un sistema di governo senza possibilità di ricambio che ha tenuto e si tenuto insieme per quasi mezzo secolo».

È quasi una profezia da Gattopardo, mi consenta…

«Non credo, sa? La verità è che noi ci prepariamo a ricevere, dico noi come Stato, una struttura entro la quale si vivrà e si morra per i prossimi venti, trenta o quarant’anni. E questo non è poco. Anche se degli Stati bisogna dire quel che nel Vangelo si dice dei beni personali: che chi li vuol conservare finisce poi col perderli. Diciamo, per ora, che un’astuzia della ragione ha sgombrato il campo di tanta robaccia. Per intenderci, non credo che succederà nulla di traumatico. Dal punto di vista generazionale, stiamo parlando di un fatto puramente, biologico. Certo, si potrebbe cogliere l’occasione propizia…».

Per che fare?

«Per darci una classe dirigente dotata di maggiore senso d’ironia, di politici che non si prendano troppo sul serio. Capaci, intelligenti e saggi abbastanza da saper gestire, eventualmente, la loro stessa crisi. Perché, a mio avviso, il fatto più grave al quale abbiamo assistito negli ultimi due anni e precisamente questo: la vecchia classe politica si è letteralmente spappolata senz’aver avuto la forza di affrontare la propria disonesta. È stata disonesta e basta».

Secondo lei, è più facile che riesca nell’intento la destra o la sinistra?

«Questa seconda uscita della Destra, dopo quella militarizzata degli anni Venti e Trenta, mi pare abbia dei connotati più civili, borghesi. Dissento da Montanelli quando ricorre alla metafora del balcone, o del mascellone, per connotare, sia pure satiricamente, la Destra emergente. Quella Destra non esiste più, semplicemente perché, come dice Nolte, non c’è più il suo eguale e contrario, e cioè: il bolscevismo. Ma con Montanelli concordo in pieno allorché sostiene che il pensiero di destra è lontano, lontanissimo da quel che oggi emerge a destra. Non vedo che greggi contrapposte ad altre greggi».

E la sinistra?

«Il punto di coagulo non è certo quello di mettersi tutti assieme attorno a un tavolo. Il problema è di vedere la sinistra in azione. Le fusioni, sa, sono dei lampi, dei momenti di grazia. Può darsi che avvengano davvero».

Sia sincero, lei se lo augura?

«Prove d’incapacità di governo ne abbiamo già viste. Non possiamo erigere davanti alla sinistra la barriera di una deficienza: la mancanza di cultura di governo. Potrebbe essere un alibi o un luogo comune».