Manlio Sgalambro in Cronache Parlamentari Siciliane, XI, n. 1, gennaio 1994, p. 20
Intellettuali e politica. L’irruzione della politica nella delicate zone della metafisica è nefasta. Solamente la metafisica può decidere in materia di illusioni
Non amo soverchiamente l’illuminismo. La divisa di un filosofo che stimo – «Buio, ancora più buio» – è anche la mia. L’illuminismo ampliò a dismisura la politica contribuendo a darle una importanza smodata. E l’elogio dell’uomo politico – essere dall’incerto valore – non poche note ha della sua musica. La luce dell’illuminismo era dipinta, mentre avrebbe dovuto bruciare. (Io amo ciò che incendia non ciò che illumina soltanto). Quel che ne nacque portava oltretutto i segni precoci della morte.
Dalla politica nasce ciò che vi è di più perituro. «Vostro figlio viene al mondo coi sintomi della morte; la facies Hyppocratica dà il carattere della sua fisionomia e il pronostico del suo destino», così Burke nelle Reflexions on the Revolution in France. «Giovane prendi e leggi», in questa maniera Diderot inizia le Pensée sur l’interprétation de la nature. Ho idea che bisogna scoraggiare i giovani.
In certi momenti tutto è in mano ad essi («giovani» è un nome con cui oggi viene chiamata anche certa canaglia) a cui la bocca puzza di latte ma il cervello ribollisce di «idee», queste cattive consigliere. L’illuminismo fu una philosophia pauperum come ogni filosofia politica.
«Affrettiamoci a rendere la filosofia popolare» (cioè politica): che orrendo disegno questo di Diderot! Ad esso dobbiamo l’imbarbarimento di una disciplina che, assieme alla matematica, aveva resistito agli assalti del volgo a cui poi si piegò. E come fu l’Enciclopedia? L’idea di sfruttare la scienza a vantaggio della specie (così come qualche secolo prima si era sfruttata la teologia agli stessi fini!). Il disegno di spremere da essa i benefici non la verità. (Idea, ancora una volta, politica).
Di ritenere il danno ad essa connaturata irrisorio e contingente. Mentre il progetto della scienza è la distruzione del mondo che essa dissimula a mala pena e il rimpianto del nulla che non dissimula affatto. Les arts, les arts, messieurs… Magistrale idiozia di un gruppo di filosofie che vuole insegnare a stare bene nell’inferno. Cosa folle! Ma torno alle mie perplessità. Tutto si illuminò, dunque.
Lo splendore delle luci inondò il theatrum mundi, ma cosa si vide? Mentre i mandarini insegnavano a vivere, i limiti di una conoscenza asservita sembravano crollare. («Vivere? No. La nostra esistenza è colma, la sua coppa sta per traboccare! … Vivere? I nostri servi lo faranno in vece nostra», Villiers De L’Isle-Adam, Axël).
Baader aveva parlato dell’oscurantismo dell’illuminismo. C’è veramente una sua radice segretamente nascosta, un buio al di là dei suoi superbi giuochi di luce. Si agita confusamente ben oltre la clarté. È come se si ascoltasse una voce allarmata: fermatelo in tempo. Al di là dell’illuminismo, come vigile realizzazione di esso, è annidata infatti la sua malevola controfigura e il suo contravveleno assoluto, il pessimismo.
A chi gli occhi si spalancarono tanto, si stagliò in tutta la sua orrenda apparenza lo stato delle cose. La politica amministra maldestramente le illusioni. L’irruzione della politica nelle delicate zone della metafisica è nefasta. Solamente la metafisica può decidere in materia di illusioni. L’illuminismo appronta gli occhi, ma solo il pessimismo vede.