Fabio Bagnasco in L’Italia, II, n. 48, 1° dicembre 1993, pp. 50-51
Per Manlio Sgalambro filosofo in disparte è presto per dire se viviamo un’epoca di fermenti o di «semplice movimento di vermi». Nessun intellettuale è libero ed oggi è suo dovere estraniarsi
La forza radicale del pensiero ci conduce all’impalcatura delle cose, restituendoci un’idea del mondo e degli uomini più ampia e interessante. Indagare, essere tentato da un pensiero seducente, è pane quotidiano per un filosofo come Manlio Sgalambro.
L’autore di La morte del sole, Anatol e Dialogo teologico è un “nichilista attivo” non privo di senso corrosivo dell’humour. Il suo pensiero (al pari del modello Cioran) smembra ogni sistema logico convenuto e riconduce ogni tema o sistema al suo domicilio più profondo.
Nel suo ultimo libro Dialogo teologico, pubblicato da Adelphi, Sgalambro ci offre un’auto-confessione ed insieme un falso dialogo che, in realtà, serve ad introdurci in quella reductio ad unum che sola può restituirci l’integrità del pensiero. Con lui abbiamo parlato di Catania e di intellettuali, ma la presenza incombente della pesanteur dell’idea di Dio si avvertiva persino nelle altissime colonne di libri (tantissimi in edizione originale) del suo studio.
Lei ha scritto che il filosofo è tale nel momento in cui mette da canto due o tre idee indubitabili…
«Mi riferisco ovviamente alle idee che fanno parte del proprio destino conoscitivo. Io, infatti, ritengo punto determinante della mia riflessione il tentativo di rimettere da capo una disciplina nel senso di una “mortificazione” e di un’assoluta solitudine che mi restituisca il senso maggiore della fondatezza delle riflessioni intorno alla teologia. Per esempio: Dio non è un’asserzione che si possa, come dire, intraprendere al di fuori di una costruzione teologica. E come se lei volesse prendere un pesce senza lenza».
Dialogo teologico sembra voler porre una sorta di argine alla presenza invadente di quella massa d’essere che siamo usi chiamare Dio.
«Il problema è essenzialmente conoscitivo. Io vorrei che il teologo squarciasse il concetto di Dio, che lo mettesse a nudo. Facciamo un passo indietro: ricostruiamo una nuova conoscenza divina, più dura e severa: non si sa parlare di Dio senza svenevolezza!».
Lei parla spesso di “pace del pensato” e di “quiete conoscitiva”. Cosa intende esattamente?
«Solo la pace del pensato ci può restituire un equilibrato rapporto con l’opera poetica e filosofica. Pensiamo alla lettura. Oggi stabiliamo rapporti banali con l’opera scritta (pensiamo all’imperativo: devi leggere!). Una volta invece si ricercava nella lettura una sensazione di quiete. L’autore aveva pensato per noi, agito per noi, sofferto per noi. Oggi è diverso: l’esercizio della lettura introduce un elemento di individualismo negativo. Penso all’idea di epigono. Quale intellettuale, oggi, non ha la pretesa di ritenersi libero?»
Quale intellettuale?
«Mentre affermo tutto questo mi scappa da ridere. Ovviamente nessun intellettuale è libero».
Crede che l’intellettuale ancora oggi non riesca a coniugare ragione e fede?
«In questo momento l’intellettuale ha il dovere di non partecipare».
Ma l’intellettuale è anche uomo del territorio.
«In esso vi è una sacra doppiezza: egli è al contempo uomo e filosofo. L’animale che è nel filosofo, o nell’intellettuale, si occupa del suo territorio senza esserne posseduto».
Lei, da animale del territorio, che rapporti intrattiene con la sua città?
«I rapporti sono mediati da questa mia doppia condizione; ma in primo luogo devo difendere il mio status filosofico. A Catania, come nel resto del Paese, ci sono fermenti. Può darsi che tali movimenti anelino a un centro unificatore; può darsi, invece, che di semplice movimento di vermi si tratti. In ogni caso tale situazione impone a me cittadino di fare in fondo la mia parte, per quel poco che posso».
Cosa pensa degli intellettuali e dei mass media?
«Gli intellettuali. All’interno delle loro robe letterarie portano avanti istanze civili e avvocatesche. Per quanto riguarda i mass media, ritengo che al loro interno vi siano grandi spazi di autonomia, anche perché, a quanto pare, l’uomo moderno non ne vuole sapere di fare silenzio».
Sgalambro e la musica, l’arte e la letteratura.
«Amo il jazz, in particolare Ornitologia di Parker. Apprezzo parecchio la letteratura e la poesia (adoro Stefan George). Se l’arte è dissolutoria – per esempio la pop – incontra il mio gradimento più totale».