Manlio Sgalambro in Cronache Parlamentari Siciliane, X, n. 11, novembre 1993, p. 24
Intellettuali e politica. Chi crea, detesta la nozione di divertimento che la cultura amministrata adora. Nei templi della socializzazione ci si abitua a stare insieme ascoltando musica o poesia… il fine non sono né l’una né l’altra
Se la affidassimo alla noia, la gente non resisterebbe 24 ore: nasce da qui principalmente la cosiddetta democrazia culturale. Le faccende dello spirito diventano un passatempo e un trastullo. Concerti e teatri diventano una festività politica.
Uno studioso francese di ciò che egli chiama «la nuova religione di Stato», la cultura, scrive: «L’amministratore culturale tende a frustrare la domanda del pubblico specifico in nome di un pubblico anonimo, che bisogna suo malgrado portare a teatro, all’opera, al concerto, al museo, in biblioteca. Questo imperativo astratto sacrifica il reale a una entità immaginaria (il suffragio universale della cultura) e la qualità alla quantità» (Marc Fumaroli, Lo Stato culturale. Una religione moderna, Adelphi, Milano 1993). La cosa è nota.
L’ebbrezza culturale (altro termine del Fumaroli) sta portando alla rovina la cultura. Ingozzare di gente teatri, biblioteche, gallerie, concerti, questo è il programma cultura amministrata. Anche se su ciò può dissentire assolutamente chi «produce» (altro termine infame) cultura. «Io so soltanto – scriveva Schoenberg a un suo corrispondente – che l’ascoltatore è presente e ciò mi disturba, anche se per motivi acustici non posso rinunziarvi (nella sala vuota infatti non c’è risonanza)». Ma Schoenberg sa bene che la sala si potrebbe riempire con altro materiale, blocchi di cemento, pietre, mucchietti di sabbia o infine pecore. L’aneddoto vuol dire qualcosa d’altro: chi crea, mi attardo su questo termine, detesta l’orribile nozione di divertimento che la cultura amministrata adora. Renan scriveva più di un secolo addietro: «Man mano che le speranze scompaiono, bisogna abituare questi esseri effimeri a vedere la vita come sopportabile; senza di ciò essi si rivolteranno… Il pessimismo e il nihilismo hanno per causa la noia di una vita che, per la difettosa organizzazione sociale, non vele la pena di essere vissuta… Il più pericoloso errore in fatto di morale sociale, è la soppressione sistematica del piacere… Bisogna che le masse si divertano». Ecco del Renan autentico. Oggi comunque anche il più idiota amministratore culturale questo lo sa perfettamente. Se la affidassimo alla noia questa marmaglia non resisterebbe ventiquattrore. Nasce da qui principalmente la cosiddetta democrazia culturale. Le faccende dello spirito diventano un passatempo e un trastullo. Concerti e teatri diventano una festività politica. Templi della cosiddetta socializzazione. Si abitua la gente a stare assieme ascoltando Wozzeck o assistendo a Finale di partita. Il fine non sono né l’uno ad l’alno ma buoni sentimenti di fusione, di solidarietà sociale, che si dovrebbero realizzare alle spalle di entrambi. La convinzione finale che apparteniamo tutti alla stessa gang. Un ottimo mezzo per sfangarla. Senonché la soglia della cultura segna un ardimento che lo spirito di un individuo non sempre sorregge. Culturalmente parlando egli può anche morirne. Oggi la cultura lavora tra la morte e il nulla. Sono questi i punti di riferimento in cui essa si muove. E non c’è niente da fare. Ducunt volentem, nolentem trahunt. I dabbenuomini della cultura amministrata che ci fanno in queste zone? Alla cultura amministrata corrisponde il produttore di cultura amministrata. La cultura amministrata lo contiene in potenza e lo doma in atto. Egli non ha altra origine che la cultura amministrata. Se essa non ci fosse, egli non ci sarebbe. Costui generalmente tende i muscoli ma tira i pugni in aria. Un critico ammoniva Hemingway, ormai trombone sfiatato pieno solo di parole, «Dimostralo, vecchio, non dirlo soltanto». Il «produttore» di cultura amministrata dice soltanto. Alla «cultura» sostituisce La volontà di cultura: un bel rompicapo. Ma la cultura amministrata è materna coi suoi pulcini. Cultura per tutti e da tutti. Questo è il suo motto. La cultura amministrata vuole essere una cultura giusta. Ma nella cultura vige la più spietata lotta per l’esistenza. Per poter esserci Baudelaire parecchi devono scomparire. Così si è costruita comunque la cultura occidentale. Essa non è stata una cultura giusta.