Quel decennio immorale

Giuseppe Cantarano in L’Unità, 14 settembre 1993, p. 17

Negli anni Ottanta per un malinteso senso del realismo politico abbiamo assistito, senza ribellarci, alla distruzione dell’etica pubblica e dello stesso Stato di diritto. Che fare oggi per ricostruire? Rispondono Bovero, Quinzio, Sgalambro e Zolo

Dannati anni Ottanta. Gli anni del disincanto ideologico, del delirio narcisistico dell’individualismo più sfrenato e del cinismo etico. Gli anni in cui all’ombra delle seduzioni irresistibili del consumismo e del successo, si sono consumate spesso nefandezze politiche, morali e sociali inaudite.
Maledetti anni Ottanta, dunque. Gli anni in cui la distanza tra etica e politica, come ormai generalmente si sostiene, e divenuta intransitabile. Certo, anche prima le cose non andavano poi tanto meglio. Ma negli anni Ottanta si è tentato di santificare l’abisso che si è scavato tra etica e politica come una terapeutica e salutare modernizzazione. Tutti sappiamo come è andata a finire.
Ora si tratterebbe di ricostruire pazientemente e faticosamente quanto in quel decennio è stato forsennatamente demolito in nome di un presunto realismo politico. Un realismo che avrebbe fatto a pezzi non solo ogni residuo di etica pubblica, già molto labile nel nostro paese, bensì lo stesso Stato di diritto. Ma è proprio questa la strada da percorrere? Ne abbiamo parlato con due filosofi della politica e del diritto, Danilo Zolo e Michelangelo Bovero, e con due teologi, Sergio Quinzio e Manlio Sgalambro.

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Ma se il diritto non può fondare l’etica e se la mancanza di etica è ciò che contraddistingue la modernità secolarizzata, cosa può tenere unita una società? E cosa può renderla, inoltre, più giusta? «La società – risponde Sgalambro – si autoriproduce ciecamente. Pensa solo a se stessa, alla propria sopravvivenza. E la legge della sua durata nel tempo è l’indifferenza che essa mostra verso gli individui che usa, spreme funzionalmente e poi getta via. Cosa può rendere più giusta una società che funziona in questo modo? Sinceramente non lo so, anche perché dietro questa domanda si nasconde una pretesa».
Pretesa, insomma, è la politica che intende conferire più giustizia alla società? «Ma la politica – obietta Sgalambro – non ha nulla a che fare con l’etica. Il costante ricorso all’etica da parte della politica è la dimostrazione dell’impotenza di quest’ultima. Quando la politica diventa consapevole della sua costitutiva impotenza cerca rimedio nell’etica. Ma è un tentativo disperato e senza senso. Innanzitutto perché un ethos oggi manca. Poi perché il ricorso della politica alle varie etiche professorali, inconsistenti, è utile solo per giustificare l’agire politico, Il circolo vizioso è evidente. Io credo, invece, che oggi sia necessaria una politica che sappia esprimere solo compassione per l’individuo, minacciato oltre che dall’ingiustizia della società, anche dal suo lento ma inevitabile declino. Una compassione che si fa necessariamente reciproca solidarietà contro il dolore e la sofferenza della vita. Tutto il resto, creda a me, sono pure chiacchiere».