Simonetta Fiori in La Repubblica, 23 maggio 1993, p. 35
Torino – Il lettore ideale per Roberto Calasso? Una bicicletta dotata di un cambio potentissimo, un ingranaggio provvisto di un numero altissimo di velocità mentali che attraversa il libro con marce diverse. “E chi dispone della marcia più alta, ossia quel filtro mentale che individua immediatamente le cose che bisogna assorbire, ha anche la marcia più lenta. Il lettore peggiore è lo scrutatore diligente, che ad una stessa velocità percorre il libro dalla prima all’ultima riga”. La platea della Sala F segue attenta, nell’illusione di trovare una complicità intellettuale con l’editore di Adelphi. Accanto a lui sono Beniamino Placido, padrone di casa, Corrado Augias, conduttore di Babele, Paolo Mauri, responsabile delle pagine culturali di Repubblica, e Paolo Fabbri, brillante semiologo oggi direttore dell’Istituto italiano di cultura a Parigi che così si presenta: “Sono alla settima edizione della promessa di scrivere un libro”. Nella tavola rotonda organizzata da Repubblica si doveva discutere del “lettore a tre velocità” (libri, Tv e giornali). In realtà la conversazione, punteggiata dalle provocazioni di Placido, ha toccato argomenti diversissimi. Ma procediamo per ordine. Prima questione: nella slavina di carta che ogni giorno si rovescia sul tavolo di giornalisti culturali, critici letterari ed editori, con quale criterio si distinguono i buoni dai cattivi libri? “È importante il modo in cui l’oggetto viene confezionato”, è l’opinione di Calasso, costretto nella sua veste di editore a trattare scartafacci informi. “È poi decisiva la lettera di presentazione. Ricordo ancora il primo biglietto che mi inviò Manlio Sgalambro: ‘Alla spettabile ditta Adelphi, vi trasmetto manoscritto, attendo notizie’. Essenziale, asciutto, sintetico”. Seconda questione, discussa più vivacemente: è giusto che una trasmissione di libri come Babele dedichi tanto spazio all’attualità politica? Augias, alzandosi in piedi per la solennità del quesito, cava dal taschino un biglietto dell’associazione dei bibliotecari e legge: “La cultura erode la mafia. Ecco, io sono convinto che i libri di attualità politica possano essere delle bussole per orientarci in un momento di grande confusione come questo”. “Io mi fido più della polizia”, è la replica secca di Calasso. “Quando la cultura s’è proposta d’esser utile – ad esempio negli anni sovietici – il risultato è stato assai misero. E, più dei libri d’attualità, sarebbe meglio rileggere Balzac e Dostoevskij”. In ultimo, una provocazione di Placido diretta a Calasso: perché anche un attore come Remo Girone – il personaggio di Tano Cariddi nella Piovra – sceglie di leggere solo libri Adelphi? “Girone”, risponde Calasso, “ha capito una cosa seria che né sociologi dell’editoria né critici letterari hanno afferrato: che l’Adelphi è una sorta di ‘metaautore’, che ogni suo libro è parte di un organismo unico, che ciascun segmento del catalogo rimanda agli altri come capitoli diversi di uno stesso libro”. Quanto all’accusa di snobismo, Calasso rifacendosi a Kojève, il grande studioso di Hegel, ne suggerisce una valenza colta che spoglia la parola dell’accezione più comune: lo snobismo, ha detto Calasso, è la negazione estetica che rimette in discussione tutto. La definizione è condivisa da Fabbri, che tuttavia non rinuncia a colpire di fioretto il suo interlocutore: “L’Adelphi è anche virtuosa. E la virtuosità consiste nel persuadere il lettore che, se non compra un libro Adelphi, fa un gravissimo passo falso. Allo snob, io preferisco il dandy, che ha più sense of humour. Il mio sospetto è che, nella produzione metacalassiana, di humour non vi sia traccia”.