Claudio Altarocca in La Stampa, 30 ottobre 1991, p. 15
I filosofi arrivano in videocassetta: ed è subito lite
Duemila ore 300 pensatori; ma c’è chi teme un tradimento. Gadamer: Ritorno alla parola viva. Sgalambro: Fuga dalla ricerca
[…]
«Sarà uno spettacolo disgustoso»: sale da Catania l’indignazione di Manlio Sgalambro, filosofo irregolare, senza cattedra, uomo con cinque figli («e tre balconi», precisa) a 200 metri dalla centralissima via Etnea. «Proprio nel momento in cui la facilità del comunicare sta svilendo il comunicare in forme precostituite, il filosofo deve celarsi, deve essere trovato, non esibirsi e perdersi»: così pensa Sgalambro.
«È talmente doloroso il rapporto con gli altri, torce talmente l’ansia filosofica, che non vedo come essa possa esporsi in pubblico».
Si inalbera:
«Non sono un reazionario. Il meno che possiamo fare per la filosofia è non tradirla. Ma forse si tratta di un’astuzia: lo spettacolo sarà così disgustoso che spingerà di nuovo alla ricerca vera».
Sgalambro sente che le cose chiamano, pongono domande incessanti. L’ha scritto nel recente Del pensare breve (Adelphi). Vertigini lo assalgono:
«Io sono per il soliloquio, tento risposte».
Impossibile prevedere i brividi del pensiero:
«Come fanno questi filosofi a farsi incassettare? Diventano impiegati, burocrati».
Avverte l’insularità della sua Sicilia come un naufragio sempre imminente:
«Nel secolo scorso al largo di Sciacca un’isola spumeggiante, la Ferdinandea. Tutti subito fecero progetti di progresso, ma dopo tre giorni l’isola non c’era più. Così è la Sicilia».
Nascosta fra i libri, tiene una pistola:
«La userò su di me solo dopo una grande gioia. La pienezza sarà tale che non ci potrà più essere nient’altro».
Promette che non sparerà sul piccolo schermo, quando vi appariranno i filosofi.