Il filosofo che non c’è

Manlio Sgalambro in L’Unità, 7 agosto 1991, p. 15

I classici riletti. L’Ethica, un libro che si è scritto da sé annullando il suo autore. E così possiamo dire che Spinoza non fu

La filosofia non può essere moderna perché non ha ancora finito di essere antica: continua insomma ad essere «teologia»

Per le riletture dei classici abbiamo chiesto al filosofo Manlio Sgalambro di riprendere in mano l’Ethica, l’opera fondamentale di Baruch Spinoza. Ne è venuto fuori un commento, in forma di dialogo ad una sola voce, di un testo tanto importante e perfetto da apparire come fosse «scritto da sé». L’Ethica è l’occasione per discutere del rapporto tra filosofia moderna e antica, tra filosofia e teologia.

Ti ho mai detto di Spinoza? Quale fu la prima cosa a colpirmi? È come se non ci fosse mai stato, mi dissi. L’Ethica, se vuoi credermi, è come se si fosse scritta da sé. Quasi fosse l’opera di nessuno. Ma allora, mi chiederai, perché lo rammenti, perché anche tu? La cattiva abitudine di unire a un’opera un nome, ecco la causa. La nostra ignoranza che le migliori tra esse sono superbamente increate. Che sembrino legarsi a qualcuno è solo la nostra idolatria. Tutto ciò hai ragione di rimproverarmelo, di biasimare la mia leggerezza e l’incoerenza in cui mi dibatto. Per tanto tempo trassi dalla sua vita l’energia per filosofare. Stabilii un paragone con essa secondo un ineguagliabile metodo. Ma poi tremai davanti a ciò a cui talvolta Colerus mi spingeva. La luce che emana da Spinoza, spiegava Colerus, non era meno della luce del sole. Sospettai che a questa similitudine avessero messo mano cielo e terra compiaciuti.
Eppure c’è una ragione, meno fortuita, per cui non farò mai a meno di pronunciare il nome. Scomparendo davanti alla propria opera, in questo modo egli si legò a essa per sempre. Dove sono infatti le tracce di quest’uomo nell’Ethica? Saprebbe qualcuno indicarmi un punto in cui è presente sia pure la sua ombra? Non ti sembra però questo po’ di realtà il suo maggiore attributo? Ecco dunque cosa ha fatto Spinoza e la ragione per la quale dobbiamo assolutamente ricordarne il nome. Egli ha saputo fare in modo da non essere autore dell’Ethica. Ha fatto sì che l’Ethica ci fosse. È diverso. Così è questo problema, non quello attorno al quale si affatica la tradizione, ad essere il mio. Noi siamo d’accordo – non è vero? – che quest’uomo il quale cancellò letteralmente se stesso ha dunque bisogno di una memoria che insegua la sua fugace esistenza come una muta di cani. Ma che avremo alla fine? Un ghirigoro, un arabesco, un segno sbiadito e mutilo, impresso su ciò che passa per «suo». Delle ossa spolpate.
Qualcuno ha detto che solo Dio avrebbe potuto scrivere l’Ethica. Cedimi, costui sbagliò. Nemmeno Dio. Infatti l’impossibilità per l’Ethica di essere scritta non è che la stessa impossibilità per il mondo di essere eretto, cosa che l’Ethica dimostra punto per punto. Ed allora, com’è che quest’opera esiste? In che modo c’entra queste tale? Anzitutto non attendere che tutto sia avvenuto, arriveresti troppo tardi, ma seguilo paso dopo passo, lo vedrai come sparire per lasciarsi dietro solo una presunzione di esistenza. Man mano che Spinoza si disfa di se stesso, dunque, nasce l’Ethica. Ciò è tutto il contrario di esserne stato l’autore. Per potere scrivere l’Ethica egli non doveva esistere. Deremmo dire, se volessimo essere più precisi, una tale Baruch Spinoza che non esisté, scrisse l’Ethica. Per quanto, a dire il vero, io non vi veda niente di strano, pare che sia contrario alle consuetudini. Convieni però che mentre tutti cominciano: Baruch Spinoza nacque qua o là, il giorno e l’anno tale e tale, e poi parlano dell’Ethica, convieni, ammettilo, che sono solo dicerie. Bisognerebbe, caso mai, cominciare dalla sua morte e da quando questa ebbe inizio e proseguire a ritroso. Bisognerebbe dire come fu che costui un dato giomo cominciò a morire.
Nel linguaggio approssimativo che viene solitamente usato, cominciò a scrivere l’Ethica. Approssimativo è anche il termine «scrivere» che si usa senza pensarci. Sarai d’accordo con me che nell’Ethica tutto è simultaneo e perciò «scrivere» non può essere ciò che veramente avvenne. Anche «cominciò» può essere usato solo in forma apofatica. Otto definizioni e sette assiomi la aprono quest’opera, come i battenti di un tempio, per accogliere i fedeli. La mazza del cerimoniere batte cinque colpi. Si comincia. Ma è già tutto finito, carino.

Potentissimi dei, perché dovrei leggere i loro libri quando ho il mio demone? Se chiedo, cos’è Dio, a chi lo chiedo? A loro? Tutt’al più ne leggerò solo i titoli come Wuz, il maestrino di Auenthal, e i libri li scriverò da me. No, mi dico, aggrappati all’Ethica e saprai. Così io ho risolto il problema. Questo è il guanto infatti che, per nulla turbato, getto in faccia ai miei doppiamente simili, philosophoi e theologoi. Contrariamente al coro faccio valere il concetto che non esiste una filosofia moderna (se non beninteso nelle pie intenzioni dove esiste anche il ferro fatto di legno) quando il suo elemento antiquato deve ancora esplicarsi per intero. La filosofia non è «ancora» moderna proprio perché deve ancora finire di essere «antica». Essa perciò non può avere finito di essere «teologia» quando ancora non si è nemmeno reso esplicito cosa questa significa. Non si tratta di un casus psychclogicus, dove un Jago teologico ad «I hate the Moor» sostituisca «Io odio Dio» (queste censure dimenticano comunque il sacro ruolo dell’impius). Ma di non tenere conto, in questa supposta contesa, del truism: l’odio si lega a ciò a cui inerirebbe, «per natura», solo amore (ma questo amore di Dio già Ugo di San Vittore l’aveva definito «amore di puttana»). Non meglio si potrebbero definire la portata e il significato dell’odium Dei. Si tratta peraltro di quell’«urto» (l’Anstoss famoso) contro il «fondamento» che risuona cupo e il cui  rimbombo, sia detto di passata, si dubita forte che i nostri produttori di sleeping pills o pillole per dormire, insomma i nostri philosophoi e theologoi, odano. Parliamoci chiaro, non c’è parola per esprimere il «fondamentum inconcussum», se non quella che la tradizione vi unì senza sforzo. Il nome un tempo amato, oggi esecrando, di Dio. Che si voglia sfuggirvi, prima al nome poi alla cosa, si capisce, eccome.
Ma la conoscenza è un destino. Solo seguendolo si rispetta l’uno e l’altra. Del resto, la qualità della filosofia odierna, dove si sostengono cose di questo genere: «affinché l’esistenza abbia un senso, l’essere non deve avere quei caratteri di stabilità, immutabilità, definitività… che il tradizionale pensiero metafisico gli ha con-ferito» mai era caduta così in basso se vuole risolvere tutto con un «non deve». È dunque necessario fare un passo più in là, cambiarla di posto e mettere la teologia al centro. È uno di quei momenti, come parve a suo tempo al vecchio Troeltsh, in cui questa può rispondere validamente in luogo di quella. Anzi metterla a servizio. Se l’argomento contro il concetto su esposto è che così la nostra vita sarebbe resa nulla, è proprio questo il punto e nel tempo stesso la famosa prova: essa è infatti una ben povera cosa. Insomma, c’è un limite invalicabile, non nella conoscenza, come piacerebbe di più, ma nell’«essere» stesso. Questo limite – in altre parole, Dio – lascia solo la mente «libera», potente, beata. Ma la beatitudine della mente è una dura salida che i nostri danzatori non hanno la forza di affrontare. Si incontra il seguente modo di dire: «Questo Spirito soltanto merita… il nome di Dio» (Hegel). Ma il nome di Dio non è un merito. Questo nome e una trivialità e una sciocchezza. Sic transit gloria Dei, amico!

Non abbiamo più immagini per Dio. «Mondo» fu l’ultima e la troviamo nell’Ethica. Fu da quel momento che divenne triviale parlare di Dio. E il nobile amore divenne realmente «amore di puttana». Barbari adoratori di Dio… Essi non sanno quello che fanno. L’ira invece mette in moto un processo che arriva sino a Dio attorno al quale da sempre è stata eretta una barriera insuperabile. Fino a che  Spinoza non disse, in una rarefatta atmosfera, che Dio era semplicemente «amato» e ciò dicendo egli la destò. Occorreva che qualcuno lo dicesse come lo aveva detto Spinoza perché la rabbia arrivasse sino a quello. Una rabbia fredda, come freddo era l’amore che Spinoza gli concedeva.
In ogni vendetta ci si vendica dunque di Dio? In ogni caso ci si vendica di essere. Non perché si desidera il nulla per natura, ma perché fummo messi nella condizione di doverlo desiderare…