Manlio Sgalambro in La Sicilia, 8 giugno 1991, p. 3
Meditazioni provinciali
«O si ha carattere o non lo si ha», queste parole di Kant suonano nell’Antropologia pragmatica e denunciano il mistero del carattere o il fatto che lo si voglia tenere nel mistero. Ancora non sappiamo. In ogni caso in esso si rinchiuse l’individualità borghese come in un munito castello. Prima che ciò avvenisse nel carattere s’era visto qualcosa di maleodorante. Da Teofrasto a La Bruyère. Dal dissimulatore allo stupido, dall’impudente al brutale Teofrasto vede in una individualità appena pronunciata già un difetto. E Les Caractères ou les Mœurs de ce siècle, oscillano tra virtuosi impudenti e malvagi inutili. L’analisi dei moralisti seviziava ogni individualità alla scoperta del carattere che essa metteva in mostra. In realtà non si sapeva dire di un individuo se non che era «furbo» o «ingenuo» o «brillante» o «avaro», eccetera. Fin quando non si scoprì il carattere dei caratteri: «borghese». In esso infatti si compendiarono tutti i caratteri e nello stesso tempo si superavano.
Il Borghese ha in sospetto l’ineffabile. Con questo termine egli diceva di sé più di tutto ciò che finora s’era potuto dire. «Non ho mai avuto né mai perseguito – ebbe a scrivere nei suoi ultimi anni Theodor Mommsen – una posizione politica e un’influenza politica; ma nel mio essere più interiore… ho desiderato essere un borghese». Con borghese si intendeva un «carattere», o, come abbiamo avuto modo di precisare, il carattere dei caratteri. Per Leon Bloy è pacifico che «borghese» riassume tutti quei caratteri che abbiamo definito maleodoranti che i moralisti avevano scovato nell’individualità. Per dirla in breve basta consultare la Esegesi dei luoghi comuni per vedere che in merito egli è arrivato più lontano di Marx e Nietzsche. «Il vero Borghese, vale a dire, in un senso moderno e il più generico possibile, l’uomo che non fa assolutamente uso della facoltà di pensare e che vive o sembra vivere senza essere sollecitato almeno per un giorno dal bisogno di capire un accidente». Qui non vi è alcuna condanna del borghese, come di solito si usa. Ma la descrizione, appena appena enfatica, del carattere borghese o, come preferiamo dire, del borghese come carattere. Trascuriamo le intemperanze di Leon Bloy: il borghese come «lavatura della specie umana». Diciamo soltanto: come compendio di tutti i caratteri, e cioè di tutte le limitazioni, il borghese è il compendio delle limitazioni dell’individuo. Tuttavia, sotto il peso della sua stessa oppressione, il carattere borghese si sfalda. Al suo posto compare la condizione di cittadino che finora era rimasta mascherata da quella di borghese (mi rifaccio allo studio di Dolf Stenberger, Aspetti del carattere borghese, nel volume Immagini enigmatiche dell’uomo apparso recentemente in traduzione per i tipi de Il Mulino, che sostiene, innocentemente pare, la transizione dal borghese al cittadino). Al primo sguardo essere cittadino non si presenta come un carattere. Ma sarebbe fermarsi troppo presto. Quando si definì l’uomo animal politicum si credette di definirne ciò che allora si chiamava sontuosamente l’essenza. E se invece si tratta di un carattere? Se invece si tratta solo di socievolezza? In realtà c’è da dubitare che l’uomo sia un animale sociale.
La socievolezza è l’impulso ad associarsi senza scopo. Esistono dunque uomini socievoli, non animali politici. Ritorniamo alla condizione di cittadino intesa come un carattere. O di più come il carattere dei caratteri, al posto di «borghese» che crolla sotto il peso delle sue, vere o presunte, infamie. Ma nello stesso tempo la condizione di cittadino che, volente o nolente, eredita dal borghese meriti e demeriti, presto gli sarà buttata in faccia. Buon cittadino, padre encomiabile, onora i suoi debiti e i suoi debitori, vota per la libertà…: non è il borghese fatto e sputato? «Onorare le canaglie che possiedono denaro o autorità, è la legge della coscienza borghese. Ma fare onore alla propria firma o agli affari è un testo difficile. So quanto voi che, in una lingua inintelligibile ai puri spiriti, significa pagare una cambiale, un assegno o simili porcherie. So anche che un tenutario di bordelli, un avvelenatore della gente, un usuraio… fanno onore ai loro affari quando pagano esattamente le loro scadenze. Ebbene…?». Qui Léon Bloy è stupendamente insopportabile. Il cittadino è già oltre la pruderie borghese sull’onore di mogli e figlie. Egli, laico, onora assegni e cambiali. «Il primo dovere del cittadino, scrive ancora Leon Bloy, dopo quello di votare per degli acefali, è di scegliersi una carriera o di farsela scegliere… Tutto il resto è fantasia e grave pericolo per la società». Ma qui Bloy esagera, lo sdegno lo acceca. Tutto sommato il cittadino non è che un innocuo insetto sociale.