Ipse dixit

Manlio Sgalambro in La Sicilia, 27 aprile 1991, p. 3

Meditazioni provinciali

Io credo che per ognuno che pensi sia un obbligo delineare i tratti del proprio spirito. I miei contemporanei usano trattarne come fenomeno generale. Io resto fermo all’idea di descrivere le caratteristiche della mia propria mente. Ritengo che offrire un quadro del mio modo di pensare sia più importante che offrirne una trattazione generale. È qui ancora un altro punto di contrasto con la tendenza della mia epoca. Essa apprezza Kant per questa ragione. Ma io stimo di più Descartes per l’altra.
Non mi preoccupa a chi appartenga un pensiero, ma della sua verità o, se si preferisce, della sua conformità al mio. In tal caso me ne approprio come se mi appartenesse.
Per quanto indaghi nel mio modo di essere io non vi trovo alcuna idea morale; ne desumo che essa sia un’idea riflessa e che abbia bisogno per essere, almeno di un altro. Le idee di questo tipo mi sembrano dunque derivate come tutte le idee di relazione. Con tutto ciò, l’imperativo categorico che rende conto di una delle possibilità più alte della specie o almeno di alcuni dei suoi membri, mi sembra una delle due o tre cose per cui vale la pena della sua esistenza.
Da che presi la decisione di pensare credo di averla fedelmente mantenuta. Che sia una decisione è ciò che mi mette in contrasto con quanti ritengono il pensare spontaneo. Intendo esaminare questa decisione perché mi pare che possa essere un contributo valido in generale. Definisco pensare l’attenzione per tutto ciò che non è se stessi o per se stessi ma come se non lo si fosse. Per gli equivoci che causa sono propenso a usare invece di «pensare» essere attento e al posto di pensiero attenzione. Uno dei benefici sarebbe quello di lasciare «pensiero» all’uso corrente. In quanto all’idea di sforzo con esso connessa sarebbe bene espressa dal concetto di attenzione a cui è implicito. Definisco, poi, idea lo scarto tra noi e le cose. Allibisco quando sento dire che entrambe sono identiche. È il potere di questo scarto che definisce la stessa capacità di pensare.
Io credo che chi ha scelto di filosofare ha scelto di sapere. Né riesco a prendere in considerazione chi dice il contrario. Non mi sorprende certo la professione del dubbio, ma mi meraviglia che la faccia chi nello stesso tempo fa quella di filosofia. Lo confesso schiettamente: se mai io faccio aperta professione di dogmatismo. Come Spinoza ritengo che le cose sono così come le dico. Ciò, s’intende, ex cathedra. Io credo infatti di avere raggiunto la filosofia nel momento stesso in cui ho messo da parte due o tre idee indubitabili. I lunghi anni passati prima che ciò avvenisse non mi sento di dire che io già facessi della filosofia. Fu piuttosto una lunga introduzione durante la quale qualcosa montava.
Sono dell’idea che la serietà da cui io sono, per così dire, perseguitato, non sia che una certa cupezza che corrisponde a ciò che altri chiamano sentimento dell’evidenza. Quest’ultimo infatti per me non è altro che un senso dell’estraneità. Ma non come se ciò mi soddisfacesse o completasse ma come qualcosa di oscuro che porto in me e di cui non so liberarmi o non voglio. Ho definito qualche volta la verità come il mondo senza l’uomo. Ho cercato di immaginare un mondo in cui non esistessi o esistessi solo per constatare che non esistevo. Questo magnifico stato in cui io non vi ero, o vi ero solo per constatare che non vi ero, mi parve che solamente si potesse chiamare verità e me ne compiacqui. La simulazione a ciò richiesta non credo sia tra le ultime qualità del filosofo. Anzi ritengo quest’ultimo un simulatore almeno in ciò che egli deve immaginare tutto un altro stato di cose per potere appena appena avere qualche cenno di quello che ha presente. Ci fu sempre chiesto di dimenticare tutto ciò che vediamo e udiamo per potere in qualche modo sapere qualcosa di ciò che veramente è. Non ultima qualità del mio spirito che ho cercato di delineare v’è questa facoltà della dimenticanza che mi permetto di contrapporre a quella, più reputata, della memoria in cui si dilettano i miei contemporanei. Dalla dimenticanza cerco di guadagnare un altro tipo di vita.