La povertà per troppa abbondanza

Manlio Sgalambro in La Sicilia, 9 marzo 1991, p. 3

Meditazioni provinciali

Si può prevedere l’avvento di una povertà razionale, non subita, ma sapientemente voluta. I bisogni inariditi, si guarda il pullulio di cose ma la mano non si muove ad afferrarle. Lo sbadiglio davanti a una colma vetrina suggella l’accaduto. Come nell’amore l’eccesso spegne il desiderio e la donna più amata si guarda annoiati, così si inaridisce il bisogno e restano quelli primordiali: qualcosa da mangiare, qualcosa per coprirsi, un tetto, un rapido coito senza amore.
Si percorrono le vie come monaci erranti, con gli occhi che sorridono a Dio.
Sorge dunque un nuovo tipo di povertà, dovuto all’abbondanza dei mezzi non come la povertà tradizionale. Essa diviene un denaro negativo con cui non si acquista ma si possiede ugualmente. La pura essenza delle cose è fatta nostra come nel vecchio filosofo, nel rapido sguardo, le Idee.
Decisiva è a questo riguardo la noia. Non una noia patita, ma, si deve insistere sull’aggettivo, razionale. Come se essa fosse escogitata e tuttavia condivisa. Una noia diventata un’abitudine della mente, se così si può dire.

Si perviene alla fine a un francescanesimo “scientifico” che ricava il suo anelito non dalla gioia divertita ma dall’indifferenza più rigorosa. Il francescanesimo tradizionale si separò allegramente dalle cose, facendo capriole, ma ciò appartiene al passato della rinunzia occidentale.
Oggi subentrano o la noia oppure la frivolezza e l’ironia del blasé (indagate da Simmel nella Filosofia del denaro; ciò è significativo). L’ironia rispetto alle cose prende il posto del desiderio convulso, nello stesso momento in cui il blasé si trastulla con le cose come un giocoliere, esse perdono la loro consistenza. Subentra il possesso della loro immagine. Come nell’antica novella, nell’odore dell’arrosto si inzuppa il pane con gusto.

Mentre si profila il tracollo della più sublime energia cosmico-storica, la forza-lavoro (Arbeitskraft), essa piomba intanto nell’autoderisione e corona la sua camera nell’infinito miglioramento di un modello di water o di una maniglia di automobile. Non per economia è nata l’economia; questo insegnamento sta alle soglie dell’antieconomia che la prende in custodia. La definizione negativa della Filosofia del denaro – «Non una riga di questa ricerca è intesa come appartenente all’ambito dell’economia politica» – riassume lo statuto dell’antieconomia.
Essa tratta l’essenza immaginaria della ricchezza, la sua seconda esistenza. Per la povertà affamata tutte le cose sono buone. Per la povertà razionale tutte le immagini sono buone. Il denaro positivo è il valore delle cose senza le cose (Simmel, Filosofia del denaro). Il denaro «negativo» è il valore delle immagini senza le cose. Per il blasé – se è in lui che s’incarna il tipo del povero razionale – la ricchezza possibile sta più in alto della ricchezza reale.

I classici tipi di caratteri in rapporto al denaro – l’avaro, il prodigo, l’avido… – sorgono in funzione della ricchezza reale. Nei limiti in cui si afferma una ricchezza possibile che può essere goduta senza possesso, essi sono un fossile caratteriologico. Scomparirebbe anche il risentimento, come caratteristica del povero tradizionale. Il salto qualitativo dall’abbondanza dei mezzi all’abbondanza delle loro immagini indicherebbe il passaggio a questa nuova ricchezza o a questa nuova povertà.