Manlio Sgalambro in La Sicilia, 20 ottobre 1990, p. 3
Meditazioni provinciali
In un libro recente sulla situazione della letteratura contemporanea si dicono delle cose coraggiose sulla poesia. Non coraggiose a pensarsi (è quello peraltro che tutti pensiamo) ma coraggiose a dirsi: la poesia è oggi cosa da mezzecalzette. O nel linguaggio giustamente severo dell’esperto: «La poesia è ormai un genere letterario che si sta svuotando… Nessun poeta del passato, né Leopardi né Gozzano né Majakovskij, se dovesse scrivere oggi, si servirebbe del genere letterario chiamato poesia» (Alfonso Berardinelli, Tra il libro e la vita, Bollati Boringhieri, Torino 1990). Croce insegnò che vi è la non poesia nella poesia, ma stabilendo questo stabilì implicitamente che nella non poesia vi è poesia. È proprio questa la situazione odierna: in essa domina la poesia della non poesia. Ma torniamo al nostro esperto.
Ricordando Edmund Wilson – «il verso è una tecnica in via di estinzione» – egli ritiene che l’idea di poesia si ritrovi oggi nel saggio. «È probabile perciò che quei poeti che ci hanno lasciato in eredità le loro opere e la loro idea di poesia, oggi sarebbero dei saggisti, scriverebbero in una eccellente prosa, umoristica e malinconica, piena di idee e di immagini, e cercherebbero di sollevare la prosa libera a quell’altezza artistica che una volta, tanto tempo fa, e da allora mai più, fu raggiunta dal verso». A questo preciso giudizio possiamo aggiungere solo il nostro consenso.In questo libro di Krakauer Sull’amicizia (Tradotto ed edito da Marietti, Torino 1989) ci lasciano soprappensiero queste parole: «Una parte considerevole nello stare insieme spetta perciò anche al silenzio. Solo persone unite da un rapporto di intima confidenza lo sopportano senza esserne oppresse, soffocate o annoiate». In realtà proprio nel silenzio si raggiunge la perfetta amicizia. Allorquando i due amici, pur stando vicini, non subiscono l’onta del corpo. Il mortificante chiacchiericcio non prevale sulle ragioni profonde in cui la delizia dell’altro è assaporata come aria pura di montagne. Eppure si deve anche parlare, tra amici, e sfidare con le perturbanti parole l’atroce sordità del mondo. Ma in ultimo v’è tra loro il silenzio. Solo loro due. Tra essi non si introduce ormai neppure la loro ombra.
«Talvolta la donna è un utile surrogato dell’onanismo. Naturalmente ci vuole un sovrappiù di fantasia». Chi poteva dirlo se non Karl Kraus? (Lo troviamo ricordato nel libro di Nike Wagner, Spirito e sesso. La donna e l’erotismo nella Vienna fin de siècle, Einaudi, Torino, 1990). Oltre il rapportino del sesso, attraverso una donna, sì certamente, attraverso un rapporto che affondi però nella propria identità, si può percepire un qualcosa di cosmico. In effetti le teorie filosofiche dell’eros, da Platone a Klages, hanno sempre sentito che si scavalca quel rapporto che l’istituzione amorosa dà in cambio di ciò che invece si perde nello stesso cosmo. Si tratta, in effetti, di qualcosa di indistinto, dove la stessa distinzione uomo-donna quindi si perde pur essa. Non un’unione ma una mescolanza, per dire così, primigenia. Un impasto di carni e di membra confuse assieme senza armonia né principio.