Manlio Sgalambro in La Sicilia, 29 settembre 1990, p. 3
Meditazioni provinciali
La coscienza che la cultura è spazzatura fa da premessa a ogni discorso odierno sulla cultura. I suoi rappresentanti «qualificati» divisi da un abisso dagli straccioni intellettuali sbagliano misura. Non capiscono che sono nello stesso bidone. La cultura è spazzatura da quando l’indicazione della norma è diventata a sua volta cultura e lo spirito urla nel deserto. Chi getta uno sguardo altezzoso sulla poesia da strapazzo e chiede, gonfiando il petto, il rispetto dei valori s’affligge poi se la loro immanenza non è rispettata. Ma in base ad essa «omnia valde bona sunt»: ogni cosa è buona e ogni poesia bella. In realtà il poeta da strapazzo e l’altro ricevono la loro giusta misura da un’altra misura: nella non poesia c’è la poesia come nella poesia c’è la non poesia. Croce, che elevò agli altari poeti insignificanti, volle dimostrare con ciò proprio questo. In realtà qui si tratta di vedere non se la piccola cultura è grande, o se anche la grande è piccola, ma se su entrambe trionfa la media. Il saggio di Dwight Macdonald, Masscult and Midcult è ancora ricco di insegnamenti.
La superstizione letteraria favorisce questo stato di cose. Il letterato, come rappresentante del nostro tempo, scrive: «Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni che non prendeva un pesce»; segno che al letterato tutto è permesso. La sua funzione attuale corrisponde a quella dei castrati del Settecento. La loro voce inaccessibile maschera con la potenza virile dell’acuto che essi sono «sans couillons». Il cinguettio dei letterati è altrettanto impotente. La cultura è «democratica» e tutti siamo eguali, dice il letterato. La cultura-spazzatura è in queste premesse.Eliot, in Appunti per una definizione della cultura, afferma: «Ecco le condizioni che io considero essenziali per la crescita e la sopravvivenza della cultura. Se esse sono in contrasto con una qualsiasi fede profonda del lettore – se, ad esempio, costui trova sgradevole che cultura ed egualitarismo siano in conflitto, se gli sembra mostruoso che qualcuno debba avere “privilegi di nascita” – non gli chiedo di mutare la sua fede, ma semplicemente di smettere di tributare insinceri omaggi alla cultura». Ma la parola cultura indica proprio questo pasticcio.
Hofmannsthal insinua che lo Spirito sia in tutto in due o tremila individui. Nella cultura invece tutti sono chiamati e tutti eletti. In realtà il pericolo non è rappresentato dalla cultura di massa, facilmente riconoscibile. Ma dal Midcult.
La cosa si potrebbe dire così: la media cultura non è «alta» cultura per un soffio. Ma questo non-nulla la divide in eterno. Midcult è la riproduzione al posto del quadro (chi ha visto una riproduzione di vari Gogh rimane «deluso» da un quadro di van Gogh), il romanzo di memoria (con il corteo di nonne, madri e zie) al posto della Recherche. Hermann Hesse al posto di Thomas Mann, On the Road di Kerouac al posto dell’Ulysses di Joyce. Il verso di George: «Tutto è diventato esprimibile: il grano trebbiato come la paglia vuota», indicano, meglio di una denuncia, lo stato della cultura. Essa è, oggi, cultura media e il suo rappresentante, il letterato, è attaccato come un cane al suo osso. Nel frattempo si affaccia un altro problema che ha avuto anche il tempo di diventare ridicolo e di tornare, come oggi, ad essere serio. Si tratta del bello. L’attenzione si sposta verso questa presenza che scrolla come un fuscello l’individualità dell’opera e mira al mucchio.
In altre parole, l’individualità di un’opera viene attraversata per lungo da una specie di lampo che non illumina più i rapporti consueti ma impone, come per decreto, che tutto si sposti dall’opera stessa, come occasione, al bello. Esso è la norma, esso è lo spirito che grida nel deserto.