Odiato sapere

Manlio Sgalambro in La Sicilia, 19 settembre 1990, p. 3

Meditazioni provinciali

Il filosofo non sta nella filosofia come la rosa nel bouquet. Solitamente si dice: filosofia è amore del sapere, il filosofo è dunque colui che ama il sapere. Ma le cose non sono così semplici. Perché egli potrebbe essere in una tensione negativa verso il sapere, potrebbe odiarlo e tuttavia sarebbe ugualmente filosofo proprio in virtù della suddetta tensione.
Potremmo in tal caso definirlo un «neicosofo» (da neikos – odio), anzi possiamo da qui in poi definirlo a questo modo, in virtù del fatto che colui del quale parliamo è atterrito dal sapere e conseguentemente ne ha paura e lo odia. Lo odia, ma non ne può fare a meno. È il neikos che lo lega, ma ciascuno sa che legami forti esso instaura. Il neicosofo, se così dunque possiamo chiamarlo, non sta nella filosofia come il filosofo parassita, che considera suum bonum pensare a spese d’altri, sta nello Stato. Costui svolge una funzione sociale, tant’è che persino lo pagano, mentre l’altro è asociale, pronto al disaccordo e aborrisce lo spirito di discussione. E che, egli dice, dovrei accettare un concetto, un’asserzione, un giudizio per «discessiunum more», mediante una votazione per maggioranza?

Dunque, costui prende in carico il sapere con tutto lo spavento che esso gli desta. L’odio ve lo inchioda da più di mille lacciuoli. L’odio per il sapere o per ciò che quel sapere gli fa sapere è dunque il legame più forte possibile, ma in modo che questo legame non gli imbrogli la mente, ma, pur atterrito e pieno di livore, egli vede esattamente ciò che vede. Così, colui che abbiamo convenuto di chiamare «neicosofo», è in grado di conoscere meglio, anche per un soffio, del filosofo parassita, ciò che conosce. Perché costui, diciamolo francamente, è svantaggiato proprio dal «philein», dall’amore.
Conviene adesso chiarirsi un altro punto e stabilire le differenze tra filosofia e «neicosofia». Quand’è che stiamo filosofando, si chiede il signor Müller? (Sarà bene confrontare Heidegger, Was ist das, die Philosophie?).
E risponde: quando dialoghiamo con i filosofi. Ma anche qui la «philia» stende le sue lunghe mani e abbraccia il vuoto. Se la «philia» si estende al «dialogare» allora come la filosofia è l’amore del sapere, così il filosofare è l’amore dei filosofi. Discutere con i filosofi è «amarli». La «neicosofia» invece sostiene: philosophus philosophi lupus. Non ci può essere tra due filosofi – in quanto filosofi, s’intende – che inimicizia e filosofare è portare a compimento questa inimicizia.

Il «neicosofo» prova paura e livore per l’essere, abbiamo detto. Il parassita, fin da quando gli è stato possibile, ha invece dichiarato stupefazione e rispetto. Saperlo è amarlo, dice il parassita. E in ciò riconosciamo il parassita. Per cui proporremmo direttamente di chiamare la sua non «filosofia» ma parassitologia. Scienza che dice come si diviene parassiti dell’essere e i tanti modi in cui ciò può avvenire. Si dà infatti una dottrina della modalità, nella parassitologia, ed essa al momento è la più importante perché ne deve stabilire la necessità.
Ma qualsiasi filosofia che si annida nello Stato e si fa spesare il suo «amore per il sapere» fa parte della parassitologia.

Io mi tengo stretto al mio Malebranche – dice il «neicosofo»: «Non si deve scrivere che per fare conoscere la verità». Immediatamente la parassitologia tacerebbe. Un filosofo lo cercheremmo con un bando in tutte le parti del regno e il re gli concederebbe in sposa la figlia. Se non ci fossi io, dice in extremis il filosofo statale (per intenderci, il parassita) chi saprebbe dell’esistenza della filosofia? Senza i miei manuali, le mie lezioni, senza di me insomma, non scomparirebbe?
Ma senza l’odio per il sapere che io insegno, risponde il «neicosofo», chi supererebbe le tre prove – il drago fiammeggiante, il cattivo gigante, il pettine avvelenato -? E se esse non saranno superate chi potrà mai amare il sapere, chi mai potrà diventare «filosofo»?